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Introduzione
Come diceva Stendhal: "Un uomo di spirito è un uomo disperato". Dagli autori dei pipistrelli di Guardalà un racconto amaro ed insolito offerto da ilcastellodipierina.com per gli amici di ArcadiA Club. Da leggersi ascoltando, di preferenza, Ahum, di Zucchero Fornaciari.
Antico
Non era mai stato vecchio. E non lo sarebbe mai diventato, pensava. Non perché volesse diventare un "bel cadavere", cioè "morire giovane", magari schiantandosi a ventiquattro anni su una Porsche 550 Spider, una "Little Bastard", come aveva fatto quel tipo... chi cavolo era? Elvis? No, forse James. J. Dean. Sì, lui.
In realtà gli dispiaceva non diventare vecchio, ma non perché in questo modo non avrebbe potuto vivere quella fetta di vita dove - dicono - si assaporano nuovi frutti e si maturano altre esperienze e tutte quelle puttanate lì.
No, la ragione era un'altra: gli dispiaceva non poter diventare vecchio perché sentiva che non avrebbe mai saputo cosa vuol dire diventare saggi, incartapecoriti e fragili, con le ginocchia che crocchiano a ogni passo e le articolazioni delle spalle che cigolano e le lacrime post-cataratta che scendono giù per guance screpolate e piene di sapienza (come accade agli anziani - dicono).
Non sarebbe mai diventato vecchio. Sarebbe rimasto scemo e vigoroso per sempre, proprio come era adesso, inchiavardato al suo eterno presente di feroce e irridente follia.
Perché lui era già presente sotto le porte Scee, ai tempi di Ettore "domatore di cavalli". Era là nella polvere con la visuale ridotta dal nasale dell'elmo e un'asta di frassino in mano. Era là a veder la mischia tra Teucri e Achei, allor che Achille infisse a fondo il bronzo pesante nella siepe dei denti di Ofeleste, e gli aprì il cranio; e poi si volse a mancina e perforò l'occhio di Trasio troiano.
Perché lui era là, in quello stretto pertugio delle Termopili, quando Leonida guidò la resistenza dei trecento spartani. Ed ebbe un fremito di eccitazione quando invece di arrendersi e consegnare le armi al nemico, il re gridò: "Venite a prendervele!". Era lì quando in quei corpi non rimase neppure una sola goccia di sangue, finito a inzuppare di rosso la sabbia e la terra e la Storia.
Perché lui era là, sulla piana di Cheronea, quando Filippo il Macedone pianse sui corpi del battaglione sacro di Tebe, i trecento omosessuali, la milizia invincibile che preferì morire anziché abbandonare gli amati. Era là quando Filippo gridò: "Sia messo a morte chiunque sospetti che costoro abbiano fatto o subito qualcosa di indecente".
Perché lui era là, sui campi innevati e coperti di sangue, quando Friedrich der Grosse sbraitò ai suoi granatieri della Guardia mandandoli all'attacco: "Cani bastardi, volete vivere per sempre?!"; era là, e sentì ciò che la Storia non dice: che la truppa urlò: "Sììì!"
Ed era ancora là, sempre lui, proprio al fianco del compagno generale sovietico Vassilij Ivanovic Ciujkov, quando questi sbavò di rabbia, leggendo il decreto 227 del compagno Stalin: "Non più un passo indietro!" alla sua divisione stremata e schiacciata in riva al Volga, tra le macerie di Stalingrado picchiettate dai tiri dei Kar 98k e dalle raffiche delle MP40 naziste.
Ed era anche lassù, nelle ribollenti acque che
lambivano le coste della
Normandia, quando giovani fanti affondavano nel mare trascinati dal
ferro delle armi tremanti ancor prima che queste sputassero fuoco e
piombo. Era lì quando i corpi crivellati e smembrati e trafitti
muovevano senza vita ancora due passi prima di crollare sulla sabbia
incollata di sangue e budella.
Certo, certo che lui c'era, che cavolo! Non mancava
mai! C'era tutte le volte che un giovane norcino passava la lama
affilata sul gargarozzo venato di lardo e di morchia di un maiale,
nel capanno del macello. E il
norcino gli faceva sentire una morte durissima, al maiale.
E non mancava mai alla nascita d'un bambino, quando gli strilli della madre si mescolavano ai vagiti del neonato. Ma in quelle occasioni lui si inquietava, e una lacrima di tristezza gli colava giù dagli occhi: vacca miseria, ne era nato un altro! Un altro da portare alla tomba, prima o poi.
E non mancava mai quando i vecchi defungevano (finalmente e con quanta ansia di liberazione!), e li accompagnava sempre alla sepoltura. Ma in quelle occasioni lui, di nascosto e non visto, balzellava e scaracollava e faceva capriole come un pagliaccio impazzito di gioia. Allora cantava e rideva e sussurrava: "Eccoti libero, amico mio!"
Era così scemo e così forte, così vigoroso e onnipresente, lui. Mai vecchio, mai saggio, sempre pronto a una grassa risata di disprezzo e mai abbastanza preparato alle lacrime di dolore che scrosciavano improvvise.
- Qui si fa l'Italia o si muore! - disse Giuseppe
(Garibaldi).
E giù una risata smargiassa! Si muore soltanto!
- Io non muoio! - fece Enrico (Toti) scagliando la sua gruccia in
faccia agli austriaci, tutto sforacchiato di proiettili. Lui però
tacque e rimase a guardarlo esalare l'ultimo respiro.
- Ho bisogno di un pugno di morti per sedermi al
tavolo della pace tra i
vincitori - aveva detto Benito (Mussolini).
Ma lui sghignazzò: "Vincitori di che? Quanto ai morti, li avrai!"
A Dresda e Hiroshima, dopo che tutti ebbero finito di morire, ballò senza mai sentirsi stanco per una settimana di fila, dicono.
Lui era forte, mai vecchio. Era anche scemo, ma non più scemo di tutti quegli esserini impazziti che zampettavano e strillavano e si azzuffavano e crepavano in continuazione, e per cosa, poi?
Lui c'era sempre, mai vecchio. Sempre scemo e osceno e assurdo come tutte quelle storie che gli toccava vedere da millenni. Sempre vigoroso e onnipresente. Non sarebbe mai diventato vecchio, saggio e fragile.
Esisteva da sempre, perpetua presenza. Perché il suo secondo nome era "Antico". Ma il suo primo era "Morte".
Diritti
Tutti i diritti di questo racconto appartengono agli autori e sono riservati. È vietato riprodurre, stampare o pubblicare su altri siti o su supporto cartaceo il racconto o parte di esso senza autorizzazione scritta degli autori.<% dim autore_file as string = "Simone Fornara e Mario Gamba" %>