- Ugo Foscolo, "Alla sera" -
 
 Scritto da: Pollina
ARTICOLO IMMAGINE


Ugo Foscolo, "Alla sera"

Forse perché della fatal quïete
Tu sei l'imago a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,

E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre e lunghe all'universo meni
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

Delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

Analisi e riflessioni sul sonetto foscoliano "Alla sera"

La sera e la morte sono le due immagini che Foscolo (1778-1827)accomuna nella sua poesia "Alla sera". Sipario del giorno, annunciatrice delle tenebre notturne e della calma della morte, la sera appare a Foscolo un importante momento di riflessione che culla i pensieri del poeta nella sua pace.

Così "cara" scende la sera, immagine della morte. In ogni stagione è invocata a custodire i pensieri e le riflessioni più intime e più vere del poeta che, nella placida calma di quel silenzio mortale che accompagna il tramonto, riflette sulle sue preoccupazioni, su un'epoca malvagia in cui si sente intrappolato, sul tempo che scorre inesorabilmente e troppo velocemente per essere vissuto davvero. Dolcemente accompagnato dall'idea della morte, lo spirito guerriero e tormentato di Foscolo trova pace e si ammansisce al cospetto della quiete "fatale" della sera (eufemismo).

Sull'onda dell'ormai diffusa in Europa, poesia sepolcrale, Foscolo esprime quindi il suo concetto di morte. Attraverso alcune perifrasi - "fatal quiete" e "nulla eterno" - e molti enjambement (Vv. 1-2/2-3/3-4/4-5...), si delinea così, dispiegandosi in due periodi -le prime due quartine e le due terzine-, il pensiero materialista e meccanicistico tipico degli epicurei e di Democrito. Alla morte corrisponde quindi il "nulla eterno", l'assenza della vita. La materia, plasmata da un tempo troppo veloce e così inafferrabile, muta e si trasforma, sottostando alla legge "nulla si crea e nulla si distrugge". La morte è quindi semplicemente la fine della vita e il dolce sprofondare nella pace del nulla. Nessuna prospettiva di salvezza, per Foscolo. Nessun aldilà in cui essere dannati o beati. Ma a questa certezza di morte e di fine non corrisponde, nel poeta, un motivo di agitazione interiore, bensì uno di pacata calma. La morte, unica vera certezza dell'uomo, diviene così un auspicabile momento di quiete, di tranquillità; il solo che possa cancellare ogni angoscia umana.

Ed è il "reo tempo", forse, la causa di quest'invocazione. Foscolo,tradito dai suoi stessi ideali, "fantasmi", "larve", che non hanno trovato terreno fertile nel suolo di un mondo corrotto, volge alla morte i suoi ultimi pensieri. A partire dalla delusione della soppressione della sua cattedra all'Università di Pavia come professore di eloquenza, fino al tradimento -avvertito quasi come personale dal poeta, che non riesce a scindere il proprio destino da quello della sua patria- di Napoleone con il trattato di Campo formio, appare a Foscolo evidente che non ci sono più speranze. Non si può risanare l'epoca malvagia in cui egli si trova a dover vivere.

Il tempo e la delusione fanno maturare il poeta. Le illusioni si trasformano in triste consapevolezza, in una coscienza votata al pessimismo e all'arrendevolezza a un tempo che sfugge a ogni controllo, che non è e non può essere imbavagliato dall'uomo. Il genere umano è trascinato dalla vita in una danza di onde a cui non può sfuggire. E se in un primo momento, seppur in balia delle onde, cerca di nuotare contro corrente, si accorge poi di non poter far altro che farsi trasportare da quel mare tempestoso. Nessun patto tra l'uomo eil tempo, tra il genere umano e la propria vita; di questo Foscolo si rende conto. E seppur in balia di quelle onde che non perdonano, il poeta smette di lottare e si abbandona al mare, al tempo, alla morte. Trova sollievo nella resa e lo stato del suo animo sereno e rilassato si ritrova nel paesaggio della poesia: così dolci e tranquille sono le immagini di nuvole e venti estivi e primaverili, di cieli carichi di neve.

Nei quattordici versi endecasillabi, tra allitterazioni ("m" nel verso 2, "t" nel verso 3,...), anafore (Vv. 3-5), anastrofi (Vv. 5-6) e parallelismi (Vv. 10-11: "nulla eterno" e "reo tempo") so snoda così il pensiero foscoliano: il pensiero della morte dolce e laica, il (non-)valore del tempo del mondo nell'effimera avventura umana; la sera, dolce immagine della fine della vita e quindi di ogni umana e terrena preoccupazione; lo spirito guerriero, tanto forte e ribelle in gioventù e che ora, per consapevolezza più che per debolezza, si arrende ala realtà, smettendo di inseguire i suoi fantasmi.

Ultimo ad essere scritto e il primo a essere letto dei sonetti della raccolta (Poesie, aprile 1803), questo componimento tratta temi già presenti in altre sue opere, prime fra tutte nello "Iacopo Ortis" e nei"Sepolcri", oltre ai sonetti della stesa raccolta -ad esempio "In morte del fratello Giovanni".

Importante nello "Iacopo Ortis" l'incontro con Parini, preludio della maturità e della consapevolezza foscoliana: impossibile opporsi a questo tempo rimanendo puri e "incorrotti"; se non si possono cambiare le ingiustizie,almeno che si scrivano. Questa la convinzione del poeta, perché la poesia rende immortali i giusti e -in questo caso- gli ingiusti.

Nei "Sepolcri" invece, accanto al tema della morte, importante è quello della tomba, monumento al valore civile, strumento di conoscenza e giustizia per i vivi più che per i morti.

Si delinea così, attraverso le sue opere, il ritratto di un uomo vinto, ma non perdente. Arreso all'ingiustizia, al ritmo della vita, allo scorrere del tempo, alla realtà, ben lontana dalle sue illusioni. E' il ritratto di un uomo consapevole dei propri limiti, dei propri fantasmi; forse troppo. Arrendevole a ciò che ormai ritiene di non poter cambiare, gli occhi un tempo pieni di ambizione spenti dalle difficoltà della vita. Invecchiato troppo presto, maturato dalla delusione più che dal dolore, Foscolo è vecchio dentro e si abbandona a una morte che aspetta senza cercarla.

Libero ma prigioniero, non più animato da quel recalcitrante animo che esige giustizia. Un'anima in pena, errante nella vita ma già morta che,cercando sempre più in là la propria felicità, non vive mai quella presente. Perché gli uomini agiscono sempre in funzione di ciò che sarà, preparandosi al futuro e perdendo il presente e vanno avanti così, in un'inconsapevole ricerca di un'irraggiungibile meta. Foscolo si arrende in questa via, senza riuscire a vedere che, cercando di essere felici e liberi dalle preoccupazioni in un futuro lontano invece che nel presente, "è inevitabile che non lo siamo mai" (Blaise Pascal).

 


Ugo Foscolo
 
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