Riflessioni
La scelta di Usellini di ritrarre patate con occhi aperti è allo stesso
tempo significativa e inquietante; componenti umane così
vive in contrapposizione ad una natura così morta, creano una
pressante sensazione di angoscia.
Patate al tramonto. Un dono della terra sprecato dall'uomo, abbandonato,
dimenticato dalla sua indifferenza. I liberi pensatori sono proposti deformati, fraintesi, compressi accorpati fino a diventare cumulo
informe: immobile, silenzioso, inutile, assopito. Occhi che
dovrebbero brillare di luce intensa hanno sfumature angosciose, chi sembra
spirare, chi abbassa le palpebre in tono dimesso, chi volge lo sguardo
altrove per nascondere la vergogna del silenzio. Il grigiore del
terreno ricorda quello di un campo di concentramento, immobilizza i tre
ortaggi con catene invisibili, da loro indipendenti, esterne. Il pittore
sembra suggerirci di liberarli, di rompere questi ceppi, di abbandonare il nostro immobilismo
prima che sia troppo tardi, vincerci per poter ascoltare, credere, aiutare.
Non tutti gli occhi sono chiusi: in questo quadro è arrivato il tramonto ma
non è notte (come accade nella versione del 1965). Tra i toni cupi e tristi
dell'insieme non tutto sembra perduto, per ciascun tubero presente nel
dipinto c'è almeno uno sguardo che sembra non essersi arreso; nella patata
centrale sta ad esempio un occhio che si sforza di fissare l'osservatore,
come a volergli lanciare un ultimo accorato appello: "non lasciare che
finisca così..."; allo stesso modo negli altri due elementi entrano in gioco "piccoli
segni", lumi di interesse tipici della filosofia, della scienza, della
curiosità verso il reale, di un desiderio di scoperta che non è del tutto
sparito. Forse secondo Usellini ci sarà speranza di libertà fino a quando non calerà l'oscurità della notte
sulle elette menti che possono difenderne i principi.
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