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Articoli Viviamo grazie al resoconto o per il resoconto?
L'unico dio che tutti quanti adoriamo




Viviamo grazie al resoconto o per il resoconto?

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 Viviamo grazie al resoconto o per il resoconto?

Il "resoconto" è un'entità presente nell'esistenza di ogni uomo o donna fin dalla sua infanzia; la prima forma di resoconto che cerchiamo è quella affettiva che potrebbe essere espressa sotto forma di riconoscimento materiale (regali, premi, ecc.) o di affetto da parte dei propri parenti (attenzioni, rispetto, ecc.). Nel ricevere un compenso ci sentiamo esaltati, premiati e quindi giungiamo ad avere la "certezza" di fare "la cosa giusta", di essere persone corrette ed oneste che svolgono il proprio compito in maniera ineccepibile. In una seconda fase troviamo il resoconto in quella che è ormai divenuta "scuola dell'obbligo" dove tra professori "menefreghisti" e genitori ottusi i ragazzi crescono con l'obiettivo ultimo di eccellere nei voti invece che nell'apprendimento.

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Qualche anno dopo (per chi continua a studiare un po') si entra nel mondo del lavoro e si comincia a sentir correre tra le gambe il bisogno di denaro, nasce così il terzo tipo di resoconto: quello che induce ad essere avidi e a provare gelosia per chi ha più di noi; una condizione simile non può avere alcuna evoluzione e ci spinge ad accumulare foglietti di carta e cilindri di metallo, vivendo magari una ricchezza di facciata che nasconde una vita di stenti.

Una vita immersa nella mediocrità può durare nella sua "stabile instabilità" anche a lungo fino a quando ci si ritrova di fronte allo specchio: le prime rughe e più di metà vita sfumata; nel momento di rendere conto di ciò che si è riusciti a concludere a nulla vale la carta, il metallo o l'apparenza, c'è soltanto una bilancia che pesa ciò che si è, che si ha fatto, che si ha concluso. Arriva la disperazione.

Per prevenire questa evenienza pensiamo allora che avere fede sia una buona cosa, dopotutto lo fanno anche gli altri e non può certo essere una cosa tanto malvagia. Conseguentemente a ciò diveniamo (nel caso dell'Italia) "cristiani", magari andiamo pure a messa ma senza ascoltare le parole del sacerdote, diventiamo in questo modo mediocri anche nella fede e non traiamo alcun reale vantaggio da una simile fonte di speranza. Ci convinciamo che se tanto Dio esiste non potrà certo dire che noi eravamo assenti alle sue "lezioni". Se invece non esiste abbiamo perpetuato una tradizione che ci ha permesso di dare di noi un'idea di "persone per bene" ed oneste...

Pochi arrivano poi, quando del denaro non sanno più cosa farsene, a bramare il potere: la forma finale di resoconto che però, in queste circostanze si tramuta in ossessione. Il fatto è che ci roviniamo con le nostre stesse mani! Fingiamo sempre e quando ci è impossibile farlo periamo! Bisogna capire che ad esempio non è veramente meritevole il sacrificio, o l'abnegazione, o l'umiltà fino a quando non cancelleremo il resoconto dalla nostra mente! Smettiamo di esaltarci direttamente ed indirettamente! Smettiamo di avere quello sguardo fiero e pieno di noi negli occhi! Non siamo perfetti! Nessuno lo è! Siamo solo "canne vuote", vuote ma pensanti [Pascal - "I pensieri"]! Non escludiamo parte della nostra natura, riflettiamo! Facciamolo per noi stessi e non per essere osannati dagli altri! Smettiamo di pensare a ciò che penseranno gli altri se faremo questa o quell'altra azione! Non forziamo noi e i nostri figli ad essere omologati al gruppo, alla società! Non tutti hanno gli stessi tempi di apprendimento e non tutti hanno le stesse abilità [Rousseau - "Emilio"]! siamo tutti unici e speciali, ma non allo stesso modo! Credersi capaci di fare qualcosa che non ci è consono è la ricetta giusta per fallire! Indaghiamo, cerchiamo dentro a noi stessi qual è la nostra vocazione e "infischiamoci" degli altri! Viviamo davvero la vita! Non è più il momento di "sparlare" e di nascondersi dietro pecche ed errori dei nostri simili! Parliamo di noi stessi!

 

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