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Articoli L'intellettuale nella lotta per la libertà
Martirio e furia di popolo




L'intellettuale nella lotta per la libertà

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 L'intellettuale nella lotta per la libertà

Se per un attimo ci allontaniamo dalla vita quotidiana e tentiamo di guardare la storia nel suo insieme, tra i caratteri più frequenti troveremo l'eterna lotta per la libertà, e la troveremmo dipinta di un colore rosso intenso, del colore del sangue. La ricerca della libertà, storicamente, si è sempre accompagnata con sofferenze e soprattutto con la morte: morte come martirio o morte come vittime della furia incontrollata del popolo che reclama i suoi diritti.
<%'ADV_ORGANIZER 1.0 | formato, categoria, base, altezza, unico, disposizione, voto, dove, numero,tipo,refresh,output response.write(organize_adv(0,categoria,468,60,176,,9,,1,1,1,)) %> Il martirio è sacro ed esemplare: spinge gli animi a ribellarsi all'oppressore, a non accettarlo. Tra i martiri della libertà vi è un infinito numero di combattenti senza nome, che potremmo racchiudere nella persona (seppure fittizia) di Ettore alla porte Scee (in Iliade, Omero, libro VI), ma anche un certo numero di intellettuali che hanno partecipato alle lotte con atti simbolici (come il suicidio di Catone l'Uticense), o vere e proprie denunce (il più attuale Matteotti). Quando questo genere di personalità non ci sono, la lotta per la libertà non scompare, ma interviene il secondo tipo di morte, in cui non vi è nulla di eroico: il popolo infuriato grida "Ai galantuomini! Ai cappelli! Ammazza! Ammazza!" (G. Verga, La libertà, da "Novelle rusticane", 1883). Già nel Cinquecento Niccolò Machiavelli sapeva che la popolazione era "tutta pronta e disposta a seguire una bandiera purché ci sia uno che la pigli" (N. Machiavelli, da Il Principe, cap. XXVI, 1532), un Mosé che apra le acque e che indichi la via per fuggire dall'Egitto dell'oppressione. La massa senza una guida esplode e tenta di arricchirsi, di accaparrarsi terre ("libertà voleva dire che doveva essercene per tutti", ibidem), in realtà mosso dall'intimo desiderio di sostituirsi a chi prima lo opprimeva. E allora viene ad avere importanza l'esortazione di Eluard (in Liberté, 1942) a non perdere di vista l'obiettivo, a scriverlo "su i quaderni di scolaro", "su le immagini dorate" e "su le armi dei guerrieri": libertà.
E come tralasciare in proposito la figura di Martin Luther King? "Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell'odio e del risentimento" (M. Luther King, da I have a dream, 1965), disse: senza di lui quella lotta sarebbe stata certamente un fiume di sangue sfociato nel nulla.
L'intellettuale, in momenti di difficoltà e cambiamento nel suo contesto sociale, non può lasciarsi sopraffare dallo sconforto e non può permettere che "le cetre oscillino lievi al triste vento" (S. Quasimodo, da Giorno dopo giorno, 1947), deve infondere coraggio nel popolo e promuovere la creazione di un'identità comune senza però degenerare nella figura di cantore della guerra come fu D'Annunzio.
L'intellettuale non può sottrarsi al suo ruolo, deve incitare alla libertà "su ogni pagina che é bianca" (P. Eluard, op. cit.).

 

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