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Come tutti sanno, molte persone si dimostrano estroverse fin da bambini, molte altre invece, e di queste parleremo, tendono a chiudersi in se stessi. Il problema può avere più e più origini ma in genere le cause più frequenti sono date da insicurezze, piccoli o grandi traumi infantili e/o un approccio scorretto genitore-figlio. In questa trattazione cercheremo di dare una rapida scorsa a quelli che potrebbero essere segni di riconoscimento di una personalità che si sta chiudendo in favore di una dimensione parallela/personale (talvolta in grado di dar vita a gravi disfunzioni psicologiche):
- Segnali d'allarme - Il soggetto passa molto tempo da solo e non cerca compagnia, è molto attaccato ai familiari più stretti, non esterna emozioni positive, non si appassiona a nulla, non vuole vedere amici/compagni di scuola, piange spesso, si aspetta di essere servito, non condivide i suoi dubbi/problemi con nessuno, non esprime giudizi/punti di vista, non fa domande, si focalizza su un solo aspetto della quotidianità, repelle il contatto con il sesso opposto, non incrocia mai gli sguardi, rifiuta l'attività di squadra, prende le sconfitte come irreversibili, tende al perfezionismo e/o agisce solo se certo al 100%, si sente incompleto/inferiore, vede tutto negativamente, è scontroso senza motivo, ha sempre bisogno di aiuto e non ha iniziativa.
- Come comportarsi? - Le soluzioni sono sempre le stesse, la prima in assoluto è ciò che molto probabilmente avremmo voluto alla stessa età dai nostri genitori: fiducia. La possibilità di avere una parte di controllo. Prima questo accade prima si matura e meno problemi si possono verificare. La seconda è gettare nella "mischia" il proprio figlio, "persuaderlo" (senza forzature esagerate) a mettersi in gioco sia in soddisfazioni e delusioni, con l'obiettivo però di dimostrare che dopo una sconfitta ci si può riorganizzare e combattere ancora fino alla vittoria. Come per qualsiasi sport, lavoro o hobby è ovvio che l'esercizio porta all'evoluzione, al miglioramento; il cervello ha bisogno di impiegarsi allo stesso modo per potersi ampliare, il problema è che il "potenziamento" non può verificarsi se le scelte le prendono le menti dei genitori invece di quelle dei figli.
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A livello decisionale, i genitori non ci possono essere e non è giusto che ci siano sempre: la vita propone in genere difficoltà crescenti di pari passo con l'età che si raggiunge; se pensiamo di fare del bene riducendo a zero gli ostacoli dell'infanzia/adolescenza ci sbagliamo gravemente: è come mandare a sfidare un pugile professionista una persona che non ha avuto modo di capire neppure come si alza la guardia, che cosa potrà mai fare? Essere picchiato a sangue. L'allenamento è chiaro, non rende invulnerabili, a volte si incassa, a volte si perde ma la forza sta nel reagire, nel capire che fino a quando non suona l'ultima campanella non è finita e c'è speranza di vincere.
La mente è come il corpo di un pugile, più sarà allenata, meno verrà colta impreparata e, perchè no? Potrebbe addirittura superare la nostra che ci sembra tanto infallibile. Oltre che efficace questo metodo (è importante dirlo): non lede la dignità del soggetto. Una vita degna di essere vissuta è data dall'ascolto dei consigli, dalla loro rielaborazione ed infine dalla scelta autonoma ed individuale. Costringere una persona ad un'esistenza differente equivale ad insultare l'intelligenza e la natura dell'essere umano.
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