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I sistemi alimentari dell'Europa medievale somigliano poco a quelli moderni. La varietà degli alimenti era piuttosto limitata, e non solo perché le piante americane (il mais, il pomodoro, la patata e molte altre) erano ancora sconosciute, ma anche perché, ancora alla fine del Duecento, prodotti molto diffusi nel Mediterraneo arabo riso, zucchero, agrumi restavano in Europa rari e costosi. D'altra parte, fra gli alimenti più comuni nell'età medievale ne figurano molti che sono divenuti del tutto marginali nel corso degli ultimi tre secoli. Nel Medioevo inoltre, come e più che in altre epoche, fra l'alimentazione del ricco e quella del povero vi erano grandi differenze.
<%'ADV_ORGANIZER 1.0 | formato, categoria, base, altezza, unico, disposizione, voto, dove, numero,tipo,refresh,output response.write(organize_adv(0,categoria,468,60,176,,9,,1,1,1,)) %>I mutamenti di fondo tra il IX e il XIV secolo
L'Europa dell'età carolingia era una società agricola e il suo sostentamento dipendeva in gran parte da alcune piante essenziali: cereali come il frumento o la segale e leguminose come le fave o le lenticchie. I documenti del IX e del X secolo ci fanno però capire che le terre seminate non erano altro che ristrette isole discontinue, disperse in mezzo a foreste, paludi e prati incolti. Queste aree selvagge erano comunque utili alla vita quotidiana poiché in esse si svolgevano attività che davano un copioso contributo all'alimentazione: la raccolta di prodotti selvatici, la caccia ad animali grandi e piccoli (il cinghiale o la lepre), la pesca dell'anguilla e dei pesci d'acqua dolce, l'allevamento brado del maiale.
Dopo il 950 questo regime alimentare misto, nel quale la carne e in genere i prodotti di origine animale avevano un peso notevole, andò in crisi a causa della crescita della popolazione. Le superfici messe a coltura si estesero; le foreste si ridussero e con esse le risorse alimentari che fornivano. I grandi proprietari terrieri cominciarono a porre vincoli alla caccia e la riservarono esclusivamente a se stessi, sia per i suoi aspetti audaci e sportivi, sia per l'arricchimento della tavola che procurava. Questa grande trasformazione verso un'economia sempre più dipendente dai rendimenti dei campi e sempre più basata su alimenti di origine vegetale fu vissuta a lungo in maniera traumatica. Le tecniche agricole erano rudimentali e i raccolti erano spesso scarsi. Le carestie si fecero più distanziate e meno acute solo dalla fine dell'XI secolo, per tornare a colpire duramente dopo il 1300.
La dieta squilibrata e carente dei poveri
Con l'estendersi dell'alimentazione vegetale divenne sempre più netta la differenza fra la dieta dei ricchi e quella delle grandi masse dei contadini. Solo la prima comprendeva abitualmente il pane bianco, lavorato con la più pura farina di frumento. Nella seconda figurava soltanto il pane nero, ottenuto con la segale o l'orzo. Ma questo era ancora il migliore dei casi. La base dell'alimentazione contadina era costituita soprattutto da cereali inferiori, che potevano essere seminati su suoli mediocri, resistevano meglio alle intemperie e richiedevano meno impegno nella lavorazione dei campi, ma erano anche assai meno nutrienti. Fra questi cereali figuravano l'avena, il farro, il sorgo, il miglio, il panico, tutti non adatti alla panificazione e consumati sotto forma di minestre e pappe, con l'aggiunta di erbe e legumi. Fra le popolazioni che abitavano le alte colline e la montagna avevano larga diffusione le castagne. La carne era diventata un elemento accessorio; i suoi consumi erano soddisfatti con l'allevamento di animali da cortile e soprattutto con il maiale, che forniva la quasi totalità dei grassi e carni destinate a essere conservate come salumi per i mesi invernali. Il sale era perciò un bene essenziale, ma non ovunque disponibile; in molti casi era fornito solo dal commercio e veniva per di più colpito da tasse feudali e statali che ne aumentavano il prezzo.
Questa dieta era squilibrata e carente: mancava di proteine animali e di grassi vegetali; e anche di vitamine, data la scarsa presenza di frutta. Prevalevano invece i carboidrati forniti dai cereali, cui dobbiamo aggiungere l'alcol delle bevande fermentate. L'acqua dei fiumi e dei pozzi era così spesso poco pura che il vino, anche se scadente o di pessima qualità, la birra e il sidro (ottenuto dalle mele) erano sempre preferiti, anche per la loro capacità di fornire energia e di dare ebbrezza.
La dieta a base di carne dei ricchi
Il pane bianco e il vino avevano un posto di primo piano nella lieta delle classi superiori. Le regole dei grandi ordini monastici non prevedevano restrizioni di nessun genere su questi consumi. Quanto alla dieta dei signori feudali, essa continuò a prevedere una sovrabbondante presenza delle carni: non tanto quelle dei bovini, quanto dei montoni e soprattutto della cacciagione, che accanto a pernici e fagiani includeva cinghiali, daini e anche cervi. Le rudi abitudini dei ceti cavallereschi facevano preferire loro i grandi arrosti. Quando queste abitudini si ingentilirono, nei secoli XIII e XIV i modi di preparare le carni cominciarono a variare e si introdussero ricette molto complesse, caratterizzate dalla combinazione di gusti forti e dolci. Questi erano ottenuti con salse e condimenti nei quali figuravano a profusione ingredienti esotici e costosi come lo zucchero, il pepe e le spezie, che l'opera dei mercanti faceva giungere dai porti orientali in tutti i paesi europei.
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