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Longevi
La vita media si è alquanto allungata, in che senso la scienza apre nuove prospettive?
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%> In un momento in cui si parla di eutanasia, leggiamo da più parti a grossi titoli: "Per adesso longevi, poi, se va bene, immortali."
Le disfunzioni provocate dalla vecchiaia vengono ormai considerate, da parte di molti ricercatori, barriera solo apparentemente insormontabile; in futuro, pare, si potranno manipolare i geni che ci fanno invecchiare. Questi non sarebbero più di 250 sui 40.000 che compongono il genoma umano. Il problema sarebbe ancora quello di localizzarli, con completezza, oltre quanto è già stato fatto. Per ora, tuttavia, è la statistica stessa che ci dice che, di fatto, la scienza ha portato in avanti la vita media di circa trent'anni, anche solo rispetto all'inizio del '900. L'invecchiamento è diventato un fenomeno di massa e non più il privilegio di pochi individui. C'è già chi afferma che la nostra vita sta durando troppo. O meglio, più di quanto, non tanto la scienza, ma l'organizzazione sociale potesse prevedere. E ne è, in molti modi, impreparata. Anche le scelte politiche debbono tener conto del fatto che il 20% della popolazione occidentale appartiene alla terza età. E non soltanto perché nel 2015 ogni lavoratore attivo, anche a causa del decremento demografico, si calcola, avrà alle spalle un ultrasessantacinquenne.
Limiti mortali
L'ingegneria biologica, tuttavia, non promette soltanto il superamento dell'invecchiamento, ma una rivoluzione di proporzioni incalcolabili, che porterà a mutamenti politici, economici, culturali senza paragoni con il passato.
Si parla di superamento dei nostri limiti mortali, si parla di crionizzazione (congelamento del corpo), oppure, del semplice cervello, per poi (in un non lontano futuro, quando la scienza sarà in grado di farlo) trapiantarlo in un "clone", cioè in un altro corpo, duplicato biologico esatto del corpo originale. La clonazione avviene tramite il trapianto del nucleo di una cellula del soggetto da duplicare (prelevata quando questi era ancora in vita e conservata in una banca biologica) in un ovulo umano, che, una volta fecondato, si svilupperà con le caratteristiche volute. Sarebbe possibile anche usare un computer attrezzato con un ricognitore laser: esso leggerebbe le impronte strutturali del cervello conservato dell'individuo da duplicare e pian piano alimenterebbe con queste informazioni l'embrione che sta crescendo.
Al di là della tesi della clonazione, esistono delle scuole di pensiero che sostengono la possibilità della eliminazione dei geni "della morte" e altre che negano l'esistenza specifica di questi e ipotizzano, invece, di poter correggere, sempre a livello genetico, quei meccanismi che si deteriorano con il passare del tempo.
In qualunque caso, le difficoltà sarebbero sempre di carattere pratico, mai teorico.
Immortalità?
Se il ricercatore è giustamente entusiasta, subito il filosofo si pone però delle domande. Gianni Vattimo, il filosofo, ha già messo in evidenza, all'interno di questa futurologia, il rischio di vedere l'uomo trasformato in un automa. "E questo - egli dice - è proprio ciò che ha ossessionato tanta arte e Kulturkritik del '900".
Egli afferma che "l'immortalità promessa è una immortalità di <<oggetti>> e non di soggetti viventi, ricordanti, amanti: produrre, per clonazione, un altro individuo uguale a me, non significa davvero duplicare la mia storia, il mio mondo, la mia peculiare soggettività - "La mia identità è, infatti, data anche, e propriamente, dalla forgiatura che le hanno dato gli eventi della mia esperienza di vita,unica e materialmente irripetibile nel tempo, e dal modo in cui vi ho reagito".
Vattimo vede, in queste ipotesi, una filosofia alleata della riduzione di tutto ad oggetto (da telecomandare?). Tutte le specifiche e personali peculiarità della persona che sfuggiranno all'eventuale clonazione, sarebbero considerate soltanto elementi <<soggettivi>>, cioè, sarebbe a dire, inessenziali. Ed allora tale "immortalizzazione" non è possibile: essa può creare, se mai, ''altri'' individui (o automi?).
L'uomo storico
Rileggo gli appunti di una dispensa ("Filosofia morale" 1972) di Adriano Bausola, allora filosofo e poi Rettore dell'Università Cattolica di Milano. "Chi dice che l'uomo sia inevitabilmente mortale, inevitabilmente errante, inevitabilmente esposto alle malattie, al sapere parziale e così via? Non si può progettare forse, un uomo storico diverso dall'uomo storico attuale? Perchè assolutizzare un momento storico?" Tuttavia, dopo questa, Bausola si pone subito un'altra domanda: se fossimo in grado di superare la morte, di controllare completamente la natura (cataclismi, malattie ecc.) e quindi di fare infinite esperienze pratiche e conoscitive, questo solo fatto potrebbe bastare all'uomo? Sarebbe molto o sarebbe ancora poco? Penso che il nostro limite ultimo verrebbe spostato in avanti, la lunghezza del nostro braccio (vista come nostra potenzialità) verrebbe aumentata. Ma sarebbe ancora poco. Sì, poco. La caratteristica dell'uomo è di sentire ancora e sempre, quella necessità di superamento senza fine, mai adeguatamente soddisfatta, che costantemente si ripresenta.
Tutte le letterature di questo mondo raccolgono la confessione di questa enigmatica esigenza.
Noia
Paradigmatica, in questo senso, è una pagina di Alberto Moravia ("La noia"). "Per quanto io mi spinga indietro negli anni con la memoria, ricordo di aver sempre sofferto della noia. Ma bisogna intenderci su questa parola. Per molti, la noia è il contrario del divertimento, è distrazione, dimenticanza. Per me, invece, la noia non è il contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi aspetti assomiglia al divertimento, in quanto, appunto, provoca distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza e inadeguatezza o scarsità della realtà". Si tratta evidentemente di una scarsità di qualità e non di quantità.
L'immortalità che ci staremmo regalando, rivoluzionerebbe certamente la nostra società, ma non sposterebbe di un millimetro questa umana problematica, quella che tutto l'esistenzialismo ha così nudamente messo in evidenza. È proprio indagando questi aspetti della futurologia, così come avviene per gli scienziati, che indagano l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo (leggi: Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica), si arriva al riconoscimento metafisico.
L'uomo, più traguardi raggiunge, meno si acquieta, più sviluppa la sua potenzialità e più la sua esigenza diventa grande: egli è strutturalmente destinato allo spirito.
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