- Albert Camus, "La caduta": dramma sul lungo Senna -
 

Albert camus: lungo Senna
 
LA PREGO, IMMAGINI UN UOMO NEL PIENO DELLE FORZE

"La prego, immagini un uomo nel pieno delle forze, con una salute perfetta, largamente dotato, abile negli esercizi del corpo e in quelli dell'intelligenza, né ricco né povero, che dorme bene ed è profondamente contento di sé, senza mostrarlo altro che con una felice socievolezza." Sono le parole del protagonista. "Debbo ammettere, allora, che, con tutta modestia, posso parlare di una vita ben riuscita." Gli anni si susseguivano nell'appagamento del successo.

"Io mi sentivo, in certo modo, autorizzato alla felicità." Continua."Non ho mai potuto parlare altro che vantandomi, soprattutto se lo facevo con quella discrezione fragorosa di cui posse­devo il segreto. Vero è che sono sempre vissuto libero e potente. Solo mi sentivi affrancato da tutti per l'ottima ragione che non riconoscevo nessuno come mio pari."

Poi, una sera, avviene - o inizia - la caduta. Ed è quando meno te l'aspetti, proprio in una tiepida e silenziosa sera d'autunno, quando ti senti in pace con te stesso e con le cose e passeggi lungo la Senna calpestando le foglie secche, respirando profondamente questo silenzio.

E' una pagina che colpisce a fondo per tutte le sue implicazioni. "Avevo avuto una buona giornata: un cieco da aiutare, la riduzione di pena che speravo, la calda stretta di mano del mio cliente, alcune generosità e, nel pomeriggio, una brillante improvvisazione per pochi amici sulla durezza di cuore della nostra classe dirigente e l'ipocrisia dei nostri intellettuali." Ma l'ascolto di questi pensieri, viene interrotto dallo scoppio nitido di una risata. Il protagonista si guarda intorno, davanti , dietro , dovunque: nessuno. E questa, risata riecheggerà ancora e spesso, enigmatica compagna dei suoi silenzi, anche se non senza qualche spiegazione.

Qualche sera prima infatti, rientrando a casa, sempre lungo la Senna, aveva visto una giovane donna che fissava il vuoto, oltre il parapetto. Ma, egli era passato oltre e quando aveva sentito il tonfo e il grido era rimasto immobile, cinquanta metri più avanti, al buio. "Dicevo fra me, che bisognava affrettarsi e mi sentivo il corpo invaso da una debolezza irresistibile. Ho dimenticato cosa pensassi: - Troppo tardi, troppo lontano... - o qualcosa di simile. Ascoltavo, sempre immobile. Poi, a piccoli passi, sotto la pioggia, mi allontanai. Non avvertii nessuno."

"Né il giorno dopo, né i seguenti, lessi i giornali".

Questa era la verità: l'avvocato " difensore della vedova e dell'orfano", appena voltato l'angolo, al momento in cui se ne era presentata l'occasione, quando nessuno poteva vederlo e nessuno mai avrebbe potuto sapere, egli aveva rivelato la sua vera identità di ipocrita.

"Jean-Baptiste Clamence, attore." Così' dice di sé il protagonista, andrebbe scritto sul suo biglietto da visita, poiché tutta la sua vita, pubblica e privata, finora era stata una lunga abile recita. Quel fatto, al di là della sua gravità e del rimorso che ne poteva provare, aveva fatto affiorare davanti ai suoi occhi quello spettacolo che egli non aveva mai voluto vedere: tutta la sua realtà di imbonitore di tutti, anche di se stesso. La caduta sta propriamente qui: nell'accorger si di aver ingannato la propria coscienza.

Camus non ti permette di barare e svela con un'indagine ironica e inarrestabile, ciò che sta dietro alla facciata: ti costringe ad esaminarti e, prima che tu arrivi alle conclusioni, le trovi già scritte. Anche se sei un uomo diverso da Jean-Baptiste Clamence, non credere di poter sfuggire del tutto alla sua analisi, perlomeno è tuo senz'altro il momento della caduta . Non è necessario che si realizzi a quell'età o in quei termini. E' il momento della presa di coscienza chiara di se stessi che può sfociare in una crisi, in un malessere senza termine oppure in un salto di qualità di tutta una esistenza.

E Camus confida tutto questo. Anche se in apparenza si tratta di un monologo, il testo è invece il dialogo più autentico fra uomo e uomo. Perché' le parole dell'autore solleci­tano risposte, sollecitano un'indagine, una confessione. Per questo non si può non amare Camus,

anche se non se ne condividesse il pensiero. Egli rappresenta, in se stesso,l'esperienza di tutti gli uomini e, specificamente, dei contemporanei. Da qui bisogna partire per cimentarsi nella ricerca di quella verità, che egli stesso, forse, non ha saputo trovare.

Cosi, leggiamo il suo scandaglio della vanità personale, della superficialità. "Tutto scivolava su di me, sì, tutto scivolava." Leggiamo del sentimento dell'onore, visto null'altro che amor proprio, della volontà di dominio invincibile in ciascuno, del sentimento dell' amore. In quest'ultimo egli non riesce a credere. Nonostante i reiterati tentativi in tutte le direzioni, da quelle più serie alle più abiette. Alle esperienze amorose egli dedica molte pagine, ma le sue avventure conducono soltanto al disordine fisico, che egli stesso rifiuta, oppure ad un disgusto totale, anche di quello che po­trebbe rappresentare un sentimento autentico:"Per anni, quando mi capitava di sentire La vie en rose o La morte di Isotta, digrignavo i denti."

Anche l'idea del suicidio viene vagliata e sezionata:" Ma la terra è scura , caro amico , il legno è spesso e opaco il lenzuolo mortuario. Gli occhi dell'anima, sì, certo, se c'è un'anima e supposto che abbia occhi. Ma il fatto è che non si è mai sicuri, non si è mai sicuri."

Jean-Baptiste Clamence, l'avvocato, dopo aver scoperto la propria vera identità di uomo ipocrita, non poteva più arringare con la stessa potenza, né poteva continuare a recitare le sue parti preferite senza battere ciglio. Così i rapporti con gli altri cominciarono a incrinarsi, la stima verso di lui a diminuire, i clienti a scemare. Anche il pensiero della morte improvvisa  venne a perseguitarlo.
 

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