Io stava sovra 'l ponte a veder surto,
sì che s'io non avessi un ronchion preso,
caduto sarei giù sanz'esser urto.
E 'l duca che mi vide tanto atteso,
disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
catun si fascia di quel ch'elli è inceso».
«Maestro mio», rispuos'io, «per udirti
son io più certo; ma già m'era avviso
che così fosse, e già voleva dirti:
chi è 'n quel foco che vien sì diviso
di sopra, che par surger de la pira
dov'Eteòcle col fratel fu miso?».
Rispuose a me: «Là dentro si martira
Ulisse e Diomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l'ira;
e dentro da la lor fiamma si geme
l'agguato del caval che fé la porta
onde uscì de' Romani il gentil seme.
Piangevisi entro l'arte per che, morta,
Deidamìa ancor si duol d'Achille,
e del Palladio pena vi si porta».
«S'ei posson dentro da quelle faville
parlar», diss'io, «maestro, assai ten priego
e ripriego, che 'l priego vaglia mille,
che non mi facci de l'attender niego
fin che la fiamma cornuta qua vegna;
vedi che del disio ver' lei mi piego!».
Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
di molta loda, e io però l'accetto;
ma fa che la tua lingua si sostegna.
Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto
ciò che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi,
perch'e' fuor greci, forse del tuo detto».
Poi che la fiamma fu venuta quivi
dove parve al mio duca tempo e loco,
in questa forma lui parlare audivi:
«O voi che siete due dentro ad un foco,
s'io meritai di voi mentre ch'io vissi,
s'io meritai di voi assai o poco
quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l'un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi».
Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando
pur come quella cui vento affatica;
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando
mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
ma misi me per l'alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.
L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
e l'altre che quel mare intorno bagna.
Io e ' compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov'Ercule segnò li suoi riguardi,
acciò che l'uom più oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l'altra già m'avea lasciata Setta.
"O frati", dissi "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d'i nostri sensi ch'è del rimanente,
non vogliate negar l'esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".
Li miei compagni fec'io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Tutte le stelle già de l'altro polo
vedea la notte e 'l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,
quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l'acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com'altrui piacque,
infin che 'l mar fu sovra noi richiuso». |
Io stavo in piedi sul ponte a osservare,
così che se non avessi afferrato una sporgenza della roccia,
sarei caduto in basso senza nemmeno essere urtato. E la mia
guida, che mi vide tanto concentrato a guardare, mi spiegò:
"Dentro i fuochi ci sono le anime dei dannati; ciascuna di
esse è avvolta dalla fiamma da cui è bruciata".
"Maestro", risposi a Virgilio, "dopo averti ascoltato sono
più sicuro di me; ma già mi era sembrato che fosse così, e
già volevo domandarti: chi c'è in quella fiamma che si
divide in due nella parte superiore, in modo che sembra
nascere sul rogo di Eteocle e Polinice?".
Virgilio mi rispose: "In quella fiamma a due punte vengono
puniti Ulisse e Diomede, uniti adesso nella punizione come
nella vita terrena andarono insieme incontro all'ira divina;
e dentro la loro fiamma viene espiato l'inganno del cavallo
di Troia, che causò la nascita della nobile stirpe dei
romani. Vi si sconta anche l'astuzia a causa della quale
Deidamia, da morta, ancora piange la perdita di Achille, e
si paga il fio del furto della statua di Pallade".
Allora chiesi: "Se da dentro la fiamma possono parlare, ti
prego molto, maestro, ti prego ancora, e che la mia
preghiera valga mille preghiere, che tu non mi neghi di
fermarci finché la fiamma biforcuta arrivi da noi; vedi come
mi protendo col corpo per il desiderio di parlarle da
vicino!".
Virgilio mi rispose: "La tua richiesta è davvero lodevole,
perciò la esaudisco; ma trattieni la tua lingua. Lascia che
sia io a parlare, perché ho capito che cosa desideri; perché
forse Ulisse e Diomede, essendo stati greci in vita,
disdegnerebbero di parlare con te".
Dopo che la fiamma fu arrivata abbastanza vicino a noi, al
momento e nel luogo che parvero opportuni alla mia guida,
potei udirlo parlare così: "O voi anime che siete rinchiuse
in un'unica fiamma, se durante la mia vita terrena acquistai
meriti presso di voi, almeno un po', quando scrissi il mio
poema, non muovetevi; ma uno di voi due mi dica dove andò
a morire dopo aver perso la via".
Il lembo più grande della fiamma cominciò allora a vibrare
ed a oscillare emettendo mormorii umani, come il fuoco
agitato dal vento; poi, piegando l'estremità qua e là, come
una lingua impegnata nella parola, emise la voce così
parlando: "Quando me ne andai da Circe, che mi trattenne con
sé per più di un anno nella sua grotta presso il promontorio
di Gaeta, prima che Enea gli desse questo nome, né il
sentimento paterno verso mio figlio, né il rispetto
affettuoso verso mio padre, né l'amore coniugale che avrebbe
dovuto far felice mia moglie Penelope, superarono dentro di
me la smania che avevo di conoscere il mondo, e le umane
debolezze e virtù;
allora iniziai un viaggio nel profondo mare occidentale,
solo con una nave e con quel piccolo gruppo di uomini dai
quali non fui abbandonato.
Vidi tutte le coste del mare Mediterraneo, quelle della
Spagna, del Marocco e della Sardegna, nonché tutte le altre
interamente circondate dal mare. Io e i miei compagni
eravamo ormai vecchi quando raggiungemmo lo stretto in cui
Ercole pose i suoi segni, per ricordare che l'uomo non deve
oltrepassarlo; a destra mi ero lasciato la città di
Siviglia, a sinistra avevo già superato Ceuta.
Allora esortai così i miei compagni: «Fratelli, che in mezzo
a infiniti pericoli siete giunti con me al limite
occidentale del mondo, non vogliate negare l'esperienza di
esplorare l'emisfero disabitato, seguendo la direzione del
sole, verso Occidente, a questo così breve tempo di vita
sensibile che ci rimane. Per decidere, pensate alla vostra
origine: non siete stati creati per vivere allo stato di
animali bruti, ma per conseguire virtù morale e conoscenza».
Con questo breve appello riuscii a rendere i miei compagni
così desiderosi di intraprendere il viaggio, che a fatica
avrei potuto trattenerli; così rivolta la poppa della nave
ad est, trasformammo i nostri remi in ali per il folle volo,
continuando ad avanzare verso sinistra.
Ormai la notte faceva vedere tutte le stelle del polo
antartico, e quelle del nostro polo, invece, erano così in
basso che non apparivano oltre l'orizzonte, rappresentato
dalla linea del mare. Cinque volte si era illuminato e
cinque volte si era spento l'emisfero inferiore della luna,
da quando avevamo iniziato la pericolosa impresa, quando ci
apparve una montagna di colore scuro per la lontananza, alta
come non ne avevo mai viste.
A quella vista io e i miei compagni ci rallegrammo, ma
subito la gioia si trasformò in disperazione; perché dalla
terra sconosciuta sorse un turbine di vento che colpì la
prua della nave. Per tre volte la fece ruotare su se stessa
con le acque che la circondavano; la quarta volta la poppa
si sollevò verso l'alto e la prua andò verso il basso, come
volle Dio, finché il mare non si richiuse su di noi". |