Lucrezio nel VI libro del “De rerum natura” dopo aver celebrato a lungo
la bellezza e l’importanza che ebbe Atene agli albori della civiltà
greca, conclude il libro(vv. 1230-1286) con la descrizione della peste
che la sconvolse nel 430 a.C. e che messe migliaia di vite.
Si può notare come Lucrezio tenda a descrivere i comportamenti delle
persone, infatti descrive la paura del contagio per i parenti del malato
(vv. 1239-1240)4:
«Nam quicumque suos fugitabant ad aegros,
Vitai nimium cupidos mortisque timentis,»
«Giacché tutti quelli che evitavano di visitare i congiunti malati,
Mentre troppo bramavano la vita e temevano la morte,»
Anche se qualcuno, definiti dallo stesso autore
“Optimus”5, no si spaventava di dare loro una mano, mossi dal «pudor»5
e da « blandaque lassorum vox mixta voce querellae»5.
Tutta la scena è imperneata di morte, violenza e sofferenza: la prima si
può trovare sparsa in ogni punto di questo testo, è nei bambini, nei
genitori, negli abbandonati per le vie e le piazze, nei morti per
l’acqua e in coloro che giaciono all’interno dei templi di cui come dice
Lucrezio (vv: 1276, 1277)6:
«Nec iam religio divum nec numina magni
Pendebantur enim: praesens dolor exuperabat»
«Tutti i santuari degli dèi la morte aveva infine riempiti
di corpi esanimi; e tutti i templi dei celesti»
In più ci sono anche scene di violenza, tra le quali
quella che spicca di più è negli ultimi versi (vv. 1283-1286)6
dove:
«namque suos consaguineos aliena rogum
insuper extructa ingenti clamore locabant
subdebantque faces, multo cum sanguine saepe
rixantes, potius quam corpora desererentur.»
«Così con grande clamore ponevano i propri consanguinei
sopra roghi eretti per altri, e di sotto accostavano
le fiaccole, spesso rissando con molto sangue
piuttosto che lasciare i corpi in abbandono.»
Queste azioni erano infatti giudicate sacrileghe, ed
è proprio usando queste immagini che il poeta ci mostra la disperazione
di quei momenti.
La sofferenza all’interno di questo testo è pressoché visibile sia nelle
descrizioni sia nel “disordine sintattico” (come traduce L Perelli da H.
S. Commager jr)7 usato dal poeta infatti questo contribuisce
a creare una sensazione di caos che rende la scena caotica lasciando
trasparire un’immagine apocalittica.
In questa descrizione le persone sono impotenti, non possono fuggire dal
morbo in nessuno modo, per questo molti critici si sono chiesti come mai
Lucrezio abbia posto un fatto del genere alla fine della sua opera, dopo
che questi parlò così a lungo della voluptas e della ragione.
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