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Scritto da: Pollina | Discuti sul FORUM
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Riflessione sul pessimismo in Schopenhauer e Leopardi
Confronto e critica delle concessioni pessimiste dei due filosofi

Il pessimismo in Leopardi

Il pessimismo di Giacomo Leopardi (1798-1837) non costituisce un vero e proprio sistema filosofico perché privo non tanto di coerenza quanto di sistematicità. Si possono tuttavia identificare nella sua produzione poetico-filosofica due fasi: la fase del Pessimismo Storico (1819-1823) e del Pessimismo Cosmico (1823-1837).

Nella prima fase, Leopardi, rifacendosi a Rousseau, identifica le ragioni storiche della tragedia del proprio tempo nel conflitto fra natura e ragione (o civiltà). Tale concezione scaturisce da due componenti: uno filosofico –l'idea illuminista dell'età della ragione, privata della fiducia nel progresso e nelle possibilità umane- e uno storico-esistenziale –l'avversione per l'epoca in cui vive e l'insofferenza personale all'età della Restaurazione.

Nella seconda fase invece, il poeta di Recanati sviluppa una forte adesione a una concezione meccanicista della natura: quest'ultima non è più la forza che ordina l'universo –come nella concezione illuminista– ma diventa "matrigna" indifferente e crudele, che infonde negli uomini, creature finite, il desiderio di una felicità infinita senza però concedergli i mezzi per raggiungerla e infierendo sugli esseri umani con malattie e vecchiaia.

Da un pessimismo storico –l'infelicità è propria del mondo moderno perché civilizzato- il poeta sfocia in una pessimismo cosmico in cui nessun popolo è al riparo dall'infelicità. Nell'universo di Leopardi, irrazionale e dominato dal dolore, non c'è posto per l'uomo, che aspira invece alla felicità e al governo della ragione. L'esistenza umana diviene quindi un "essere per la morte", un lento morire, poiché tendere alla morte è legge e causa dell'esistenza di tutte le cose. L'infelicità è invece quindi una legge di natura, alla quale nessun essere può sottrarsi e la natura non ha come fine la felicità degli individui: essa tende solamente alla propria conservazione.

In questo contesto la felicità diviene semplicemente una assenza di dolore – "La quiete dopo la tempesta" - e l'ansia insoddisfatta, il tendere verso una meta irraggiungibile, sfocia nella noia, la "vera materia del mondo". All'uomo non resta che l'accettazione della propria condizione con saggezza e distacco, accettazione che però non deve sfociare nel suicidio ma nella solidarietà umana.

Anche l'amore, inizialmente possibile riscatto per l'esistenza e sentimento che rende la vita degna di essere vissuta – "Il pensiero dominante" e "Amore e morte" - viene negato dall'ultimo Leopardi. Egli rifiuta l'idealizzazione platonica dell'amore e della donna amata, per la ferma accettazione della realtà – "Aspasia".

Anche le concezioni religiose e spiritualistiche che collocano l'uomo al centro dell'universo vengono rifiutate dal poeta.

Il progetto di Leopardi non è politico ma etico ed esistenziale: egli auspica una convivenza pacifica, una solidarietà autentica tra gli uomini, fondata sulla coscienza della propria fragilità e debolezza nel divenire delle cose. Nonostante questo non c'è felicità per gli uomini, non esiste salvezza.

Il pessimismo in Schopenhauer

Il pessimismo di Schopenhauer (1788-1860) invece, per quanto possa essere un pessimismo metafisico, si risolve in una diversa conclusione. Per Schopenhauer affermare che l'essere è la manifestazione di una volontà infinita equivale a dire che la vita è dolore. Infatti nel volere è implicito il desiderare e il desiderare porta se insoddisfatto al dolore, se soddisfatto alla noia. In questo passaggio diverge il punto di vista dei due filosofi: per Leopardi infatti la noia subentra nel tendere a un desiderio irrealizzabile di felicità infinita. Ma il concetto di "noia" alla base è pur sempre lo stesso: essa è il peggiore dei mali perché rappresenta la piena consapevolezza dell'uomo -il più sofferente degli esseri poiché dotato di razionalità- della sua infelicità. Anche Schopenhauer tuttavia il piacere è solo una momentanea assenza del dolore, "regola della vita".

Lo stesso ragionamento viene fatto dal filosofo tedesco sulla natura: causa prima di inganni ed illusioni che, solo con l'avanzare dell'età, l'uomo può cogliere, sollevando il velo di Maya. E l'inganno più grande per Schopenhauer è l'amore, riconducibile semplicemente all'istinto sessuale il cui unico interesse è la riproduzione biologica.

Ma mentre per Leopardi l'unico momento felice per l'uomo è la giovinezza, poiché gli inganni della natura sono ancora illusioni celate, secondo Schopenhauer può considerasi fortunato chi riesce ancora, nonostante il disincanto del mondo, ad illudersi.

Inoltre anche il filosofo nega qualsiasi forma spirituale e religiosa, arroccandosi in un radicale ateismo, dove Dio diviene solo una proiezione umana creata dal bisogno dell'uomo che ha radici puramente compensative. Lo stesso ragionamento si rispecchia nell'immagine della natura: l'uomo non occupa posizioni privilegiate all'interno del mondo naturale ed è guidato dal determinismo universale che subordina l'intelletto alla volontà. La natura dei romantici diviene così un lontano ed erroneo fantasma e teatro di conflitti, violenza, miseria e sofferenza.

Inoltre anche Schopenhauer nega il suicidio come unica via per la liberazione, ritenendolo un atto di forte affermazione della volontà e non una negazione della stessa, in quanto l'individuo vuole ribellarsi agli inganno della vita, non alla volontà.

La conclusione a cui arriva però il filosofo tedesco è nettamente diversa da quella del Leopardi. Se per il poeta italiano non vi è sottrazione al dolore e all'infelicità, per il filosofo tedesco invece la via della liberazione parte dall'arte –in particolare la musica- per completarsi nell'ascesi, concepita come distacco a cui si perviene gradualmente. Attraverso i gradi della giustizia, della carità e della compassione e della castità, si raggiunge il Nirvana, ossia il nulla.

Sebbene dunque anche Schopenhauer passi per la solidarietà umana, egli la supera, per approdare a una soluzione all'infelicità umana, negata invece dal Leopardi.

Riflessioni e confronti

Come De Sanctis, ritengo sterili e non costruttive le proposte del filosofo tedesco mentre quelle del poeta producono l'effetto contrario a quello che si propongono: il critico afferma del Leopardi "Non crede al progresso, e te lo fa desiderare, non crede alla libertà e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo che non ti senta migliore".

Inoltre lo stesso ragionamento di Schopenhauer mi lascia personalmente alquanto perplessa. Se l'uomo, all'inizio del suo agire, deve prendere coscienza della propria identità, come può infine rinnegare il suo essere? Se l'uomo è di per sé mosso dagli atti di volontà, se è spinto da pulsioni istintive, se è connaturato nella volontà di vivere, come può liberarsene senza negare sé stesso? E se arriva a negare se stesso allora arriva a negare ciò che è. Ma ciò che è non può che essere e ciò che non è non può che non essere (Parmenide). Quindi come può arrivare all'ascesi se nell'ascesi deve negare la sua natura e il suo stesso essere? E come può l'essere divenire il non essere –il nulla del Nirvana? Se l'uomo non è creatura privilegiata e il solo strumento a sua disposizione è la razionalità come può trascendere la legge parmenidea dell'universo?

Ritengo che lo sbocco del sistema filosofico di Schopenhauer altro non sia che la fuga dalla vita, per altro impossibile. Leopardi quanto meno, seppur non prevede una parte costruttiva, lascia all'umanità un messaggio positivo –a mio parere sbagliato ma pur sempre un messaggio. Nega invece, il poeta italiano, una soluzione definitiva all'infelicità umana, poiché questa è condizione eterna e ineliminabile dell'esistenza.

Se anche ritengo più veritiera la visione hobbesiana della natura umana, incline solo alla violenza e incapace dell'autogestione, e mi riesce quindi difficile immaginare il mondo di fratellanza sincera e sentita tra gli uomini, ritengo più valido e coerente il ragionamento di Leopardi.

Personalmente credo che il pessimismo filosofico non sia altro che realismo pratico. Anche se ritengo troppo facile e banale la conclusione mistica e chimerica di Schopenhauer quanto quella volutamente solo distruttiva leopardiana.

Una volta appresa la natura dell'uomo e del mondo, ridursi al nulla o semplicemente smettere di cercare una risposta poiché la si nega, non può essere certo la soluzione. Forse, invece che cercare di combattere la natura, tentando –e per altro fallendo- di opporsi a lei o alla stessa intrinseca nell'uomo, si potrebbe cercare di sfruttarla a proprio vantaggio.

Poiché la morte dell'uomo non può che stare nel credere di non poter lottare (Leopardi) o nel credere di potersi annullare (Schopenhauer). E se il cercare di sfruttare la propria condizione e il proprio essere insignificante nel mondo non può dare la felicità all'uomo, potrà farlo la speranza di poterlo fare.

 


Ritratto di Giacomo Leopardi
 
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