VITA E ITINERARIO INTELLETTUALE
Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) è un filosofo tedesco monista
idealista che ebbe fortuna nella seconda metà del Settecento. Si formò da
autodidatta, in quanto non aveva le possibilità per un'istruzione superiore,
fatto che pesò molto sulle sue posizioni. Gli è possibile raggiungere un
buon livello di istruzione grazie al mecenatismo di alcuni ma presto diverrà
autonomo e otterrà una cattedra universitaria. Sarà addirittura fondatore
dell'Università di Berlino (dove insegnerà anche Hegel): riteneva che
le scuole servissero per creare l'identità tedesca. Morirà di colera,
contratta, pare, facendo servizio in un ospedale militare.
Dapprima Fichte ammirava la ragione illuminista, la sua critica
razionale, che discute dogmi culturali e religiosi (venne anche accusato
di ateismo), ma in seguito maturerà una delusione verso queste idee.
Viene allora a sostenere che è il poeta che deve guidare il proprio
popolo, in particolare nell'ultima parte della sua vita si farà
portatore dell'idea di Napoleone come invasore (anche se in precedenza
lo ammirava) e della resistenza anti-francese non solo militare, ma
anche culturale.
Fichte ebbe inoltre uno stretto rapporto con Kant, del quale per un
certo periodo si dichiara discepolo. Kant gli fa persino da padrino per
un certo periodo, infatti il suo iniziale obiettivo era sostenere il
primato della ragion pratica con il suo idealismo. Scrive
Introduzione alla prima dottrina della scienza, Prima dottrina
della scienza e altre opere da titoli simili: egli pensava di porre
i fondamenti in continuità con Kant, ma in realtà andò oltre, cambia il
modo di intendere la razionalità. Principalmente lo studio di Fichte si
concentra sulla libertà.
DEFINIZIONE DI IDEALISMO
Alla fine degli anni Novanta scrive Introduzione alla prima dottrina
della scienza, opera che tratta della dottrina dei fondamenti, ma anche
della dottrina pratica di Kant e quindi della libertà umana stessa. Fichte
sosteneva che bisognava per prima cosa togliere l'attenzione dalle cose (gli
oggetti), dobbiamo guardare prima verso noi stessi, come già Kant aveva
suggerito. Il punto di partenza è dunque gnoseologico.
In noi vi sono diverse rappresentazioni (termine di Reinhold che
scrisse in un'opera divulgativa su Kant), ovvero l'unione tra le forme
soggettive (spazio e tempo) e i dati sensibili; Fichte descrive due tipi di
rappresentazioni: le prime dipendono da noi mentre verso le seconde siamo
passivi, le "subiamo". Quest'ultimo tipo di rappresentazione è l'esperienza;
l'obiettivo della filosofia è rendere ragione a queste esperienze, a domande
come "chi sono?", "da dove vengo?".
Fichte, a questo punto, scinde la filosofia in due categorie a seconda di
come si rapportano con l'esperienza:
- il dogmatismo spiega l'esperienza con le cose, in
riferimento agli oggetti; l'esperienza è il risultato di
un'impressione del mondo esterno su di me;
- l'idealismo spiega invece l'esperienza con la nostra
intelligenza;
Queste due correnti non si confutano a vicenda, entrambe riguardano
il principio primo, il fondamento, un idealista non può convincere un
dogmatico, perché non esistono premesse al principio primo su cui
discutere, non è possibile dedurre assolutamente nulla.
Tuttavia, nella visione di Fichte, l'idealismo presenta dei vantaggi,
ovvero è più facile da sostenersi sotto alcuni aspetti:
- teoretici, dato che l'io, l'intelligenza è molto meno
oscura rispetto al noumeno (l'oggetto in sé); l'intelligenza
è più intuitiva della cosa in sé, è autocoscienza;
alla base dell'idealismo vi è l'intelligenza pura; in
opposizione il punto di partenza del dogmatico è oscuro, Kant fa
fatica, è costretto a postulare questo punto di partenza, non ne
parla in maniera esplicita; inoltre la cosa in sé lo determina, è
determinato dall'esterno non solo da sé, questo significa che ogni
dogmatico è determinista in morale, ovvero nega la libertà;
- morali, se non ci si può convincere a vicenda significa
che alla base vi è una scelta, dunque esistono due tipi di persone,
quelli che scelgono di essere dogmatici e quelli che scelgono di
essere idealisti; i dogmatici sono pavidi e cercano tutto
all'esterno; altri invece sono consci della propria libertà, hanno
il coraggio di prendersi la responsabilità delle proprie
azioni, sostengono che le cose sono poste dall'io;
Anche a livello biografico Fichte ritiene che la fortuna che ha
ottenuto nella vita se la sia guadagnata, altrimenti sarebbe rimasto un
contadino.
I TRE PRINCIPI DELL'IDEALISMO FICHTIANO
L'idealismo è ciò che spiega l'esperienza (le mie rappresentazioni) grazie
alla pura azione dell'io. L'io non è una cosa, è l'atto di unire il
molteplice come sosteneva Kant ma anche di porre, prima di tutto
sé stesso. Il primo principio della dottrina della scienza è che l'io
pone se stesso.
Alla base della logica tradizionale vi è il principio di identità, di
non contraddizione e del terzo escluso. In realtà il principio
di identità (A=A) non è un principio primo: deve essere pensato da qualcuno,
l'io. In realtà il vero principio primo è che l'io pone se stesso,
IO=IO.
Fichte intende giustificare Kant senza ricorrere al noumeno, inconoscibile e
inutile.
Una scelta filosofica noumenica non può che ricondurre all'io in sé, non
alla cosa in sé. La cosa in sé è molto lontana dal soggetto, Kant la deve
postulare, non posso conoscerla. Sostenere ciò è molto più faticoso rispetto
all'autocoscienza, massima evidenza immediata.
Da Cartesio a Kant si sviluppa un soggettivismo. Ma per soggetto si intende
un soggetto trascendentale, che funziona in tutti gli individui. Per
Cartesio una res, per Kant un'azione. Anche per Fichte l'Io, è
inter-soggettivo, le azioni sono attività spirituali dei singoli ma che non
si riducono a nessuno di essi.
L'Io è fondamento primo e assoluto di tutto per Fichte, in forte opposizione
a Kant che negava l'intuizione intellettuale, e riteneva veritiera solo
l'intuizione empirica (nella pars construens della Critica della
ragion pura). L'intuizione intellettuale è coglimento immediato
del fine ultimo della realtà, a livello noumenico, che Kant concepiva solo
come bellezza, sublime, sapere di essere liberi, ma non era
teoretico. Fichte amava Kant perché sosteneva la libertà umana, però per
fare questo la postulava: lui si pone di dimostrarla attraverso il
recupero della metafisica e con argomenti di autocoscienza.
Noi siamo partiti dell'Io assoluto, da cui tutto deriva. L'Ich-eit
(temine che in italiano dovrebbe essere reso come iità o iezza)
è un atto superiore. L'Io è tathandlung ovvero, al contempo attività
agente e prodotto dell'azione. Prima viene l'atto, poi la cosa, l'agire pone
l'essere.
Il secondo principio dell'idealismo fichtiano è che l'io
dentro di sé si oppone al non-io, per cogliersi deve non solo
porsi ma anche opporsi a qualcosa di diverso da sé, per
rendermi conto che io ci sono devo oppormi dall'altro da me. Ma l'ich-eit
è la totalità della realtà, quindi l'opposto è comunque dentro di sé: il
non-io è il mondo degli oggetti, le cose, tutta la realtà.
Quanto detto rende l'azione parziale, la divide. Questo è il
terzo principio: esiste un io divisibile (io singolo) e un
non-io divisibile (le cose, gli oggetti). Questa relazione con il
non-io mi pone in divenire, mi fa superare i miei limiti tramite una
tensione all'infinito tipicamente romantica, lo streben.