- Hegel: la filosofia dello spirito -
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SCHEDA FILOSOFO | ||
Le tre tappe della spirito in Hegel: spirito soggettivo, spirito oggettivo e spirito Assoluto | ||
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Parlare dello Spirito è per Hegel parlare del mondo umano, sintesi di idea e natura, "poiché lo spirito vive unicamente nell'umanità" (come commentava Francesco Messineo, studioso di Hegel). La vita dello Spirito (momento in cui l'assoluto si raggiunge, conquista se stesso, il sapere di sé) si articola in una triade dialettica: spirito soggettivo, spirito oggettivo e spirito assoluto. LO SPIRITO SOGGETTIVO La storia dello spirito soggettivo è la storia dell'emergere e del manifestarsi e del riconoscersi dell'Assoluto nelle singole coscienze, nelle singole soggettività umane. Gradualmente, attraverso mille difficoltà, dubbi e perplessità, l'Assoluto diviene trasparente a se stesso, si comprende (comprende di essere tutta la realtà e che tutto va bene, che tutto ciò che è reale è razionale). È la storia del viaggio che nell'interiorità umana l'Assoluto compie per giungere a conquistarsi, a capirsi; ma è un viaggio irto di erramenti e sviamenti e fatiche; un viaggio nella coscienza umana la quale - dalla consapevolezza più ingenua e più bruta - tende a salire verso il punto di vista dell'assoluto. Qui Hegel ripresenta buona parte dei contenuti della FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO. Dalla forma di coscienza più ingenua e brutale (la "certezza sensibile") secondo la quale ciò che vedo dinanzi a me è totalmente esterno ed altro rispetto a me (è il modo di pensare del senso comune, delle persone comuni) si passa gradualmente a ritenere che ciò che vedo dinanzi a me non è la realtà in sé, ma è solo un fenomeno formato dagli elementi a priori e dai principi di connessione della mente umana (si pensi a Kant). Infine si giunge a negare l'esistenza di un mondo noumenico (esterno al pensiero, alla mente), e la coscienza diventa ragione, cioè "la certezza della coscienza di essere ogni realtà": la coscienza, cioè, riconosce che essa stessa è solo parte di una unica forza infinita che costituisce tutta la realtà: l'Assoluto. Ma per giungere gradualmente a un simile pensiero, cioè - hegelianamente - per "porsi dal punto di vista dell'Assoluto", la nostra singola coscienza ha dovuto compiere un lungo e doloroso viaggio educativo. LO SPIRITO OGGETTIVO Esso è l'insieme delle realizzazioni storiche delle singole coscienze umane, in quanto guidate dall'Assoluto. È lo spirito che si realizza nelle istituzioni della famiglia, delle forme di governo, degli stati, dei regni e degli imperi, negli usi e nei costumi dei vari popoli etc. È l'insieme delle istituzioni storiche: tipi di famiglia, di stato, di società, di insiemi di leggi, di consuetudini etc. Hegel ne parla soprattutto nelle opere LINEAMENTI DI FILOSOFIA DEL DIRITTO (1821) e FILOSOFIA DELLA STORIA. In questa parte del suo sistema sono contenuti alcuni degli aspetti più originali e interessanti del pensiero hegeliano e anche quello più studiato. Il tema dominante è quello della libertà dell'Assoluto (ovvero ciò che è ab-solutus,
cioè sciolto da ogni limite, libertà pura, assoluta indipendenza) che si attua nella
storia dell'uomo. DIRITTO, MORALITÀ ED ETICITÀ La vita dello SPIRITO OGGETTIVO a sua volta si articola in una triade dialettica costituita da: Diritto. La sfera del diritto è l'insieme delle norme che consentono alle persone di incontrarsi nel rispetto reciproco. Le persone si incontrano tra di loro in quanto vogliono la proprietà degli oggetti. Il diritto stabilisce e regola i rapporti umani fissando delle sanzioni e delle punizioni che mirano a garantire il rispetto reciproco (il bene). Il diritto tuttavia è solo la sfera del bene realizzato in modo insufficiente: non appena si attenua o viene meno (anche solo momentaneamente) la presenza della forza costrittiva esterna (come la forza di polizia) incaricata di far rispettare le norme che tutelano il bene (il rispetto reciproco), le norme vengono violate: nasce il torto, e con esso la necessità della pena. Il bene garantito dal diritto è un bene "fragile", dipendente com'è dalla sorveglianza di una forza costrittiva esterna. Moralità. Sorge allora, per porre rimedio ai limiti del diritto, l'atteggiamento della moralità. La moralità è l'atteggiamento di chi ha interiorizzato la norma, di chi ha trasformato la legge in un imperativo categorico interiore, e si sforza (riferimento esplicito all'etica di Kant) di fare il bene (di rispettare l'umanità) anche in assenza di forze costrittive e minacce di punizioni. L'uomo morale si sforza di combattere l'egoismo che è in lui e di lottare contro il "corso del mondo", di moralizzare con il suo esempio il corso del mondo. L'uomo morale si sente perennemente in lotta contro l'egoismo continuamente risorgente in sé e negli altri. Costui si sente perennemente infelice perché ritiene che il bene non possa mai essere realizzato su questo piano di esistenza (si pensi a Kant, per il quale la santità non è raggiungibile su questo piano di esistenza, e si può sperare di conseguire il sommo bene - l'unione di virtù e felicità - solo se postuliamo l'esistenza di Dio e di una vita ultraterrena). Nell'ottica della moralità, il bene è l'oggetto di una tensione ad infinitum, di uno sforzo che non ha mai termine (almeno in questa vita); cioè - con le parole di Hegel - la sfera della moralità è "la sfera del bene puramente vagheggiato", mai realizzato. Ecco il limite della moralità: l'uomo morale kantiano vive in una condizione di frustrazione donchisciottesca poiché il bene a cui aspira resta una perenne aspirazione irrealizzata, mentre la realtà viene pensata come il trionfo del male. Il suo"delirio della presunzione" (il voler cambiare il corso del mondo, il voler moralizzare il mondo) lo porta a scontrarsi costantemente con la realtà e a percepire in pieno l'impotenza delle sue personali intenzioni. Come Don Chisciotte, finisce per lottare contro i "mulini a vento", in modo ridicolo e inutile. Eticità. Sorge infine il momento della eticità. L'eticità supera i limiti
del diritto e della moralità in quanto è "la sfera del bene pienamente
realizzato",
dunque del bene realizzato in pieno (e non - come nel diritto - solo in modo fragile
e insoddisfacente; né - come nella moralità - solo vagheggiato). L'eticità costituisce
l'atteggiamento di chi ha finalmente compreso che non bisogna opporsi al corso del
mondo perché tutto va bene, perché tutto ciò che è reale è razionale, perché tutto
è positivo ed è espressione dell'Assoluto, della Perfezione: il bene esiste realmente,
ed è il tutto, l'intero. L'eticità è l'atteggiamento di chi capisce che tutto è uno e tutto è manifestazione
dell'Assoluto. Scrive Hegel in una pagina famosa dei LINEAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO (allorché parla di coloro che colgono la razionalità del reale, la realtà del bene): "Riconoscere la ragione come la rosa nella croce del presente, e quindi godere
di questa - tale riconoscimento razionale è la riconciliazione con la realtà,
che la filosofia consente" (dalla Prefazione ai Lineamenti di fil. del dir., Ed. Laterza U. L, 1979, p. 19). La filosofia non fa altro che rendere esplicito
in modo concettuale e preciso ciò che l'uomo etico già capisce e sente vivendo:
e cioè che la realtà presente - anche nel dolore delle sue "croci" e rabbie e depressioni
- è costituita nel suo intimo dalla rosa profumata della ragione, della positività.
Chi capisce questo si riappacifica con la vita e si placa, e ne "gode". FAMIGLIA, SOCIETA'CIVILE E STATO L'eticità a sua volta si articola in una triade dialettica interna: famiglia, società civile e Stato.
Del resto, già nella FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO, Hegel aveva sottolineato il carattere conflittuale della vita sociale attraverso il tema - famosissimo - del rapporto servo-padrone: le singole autocoscienze (ognuno di noi), entrando in rapporto tra di loro, lottano per affermarsi. Alcune autocoscienze, per timore della morte, si danno per vinte e diventano serve. Il servo diventa una "cosa" dipendente dal padrone, che fa lavorare il servo e gode dei beni che costui produce. Ma il padrone finisce poi per diventare dipendente dalle cose prodotte dal servo: egli disimpara tutto ciò che il servo, lavorando, impara a fare. Hegel giunge dunque a celebrare la potenza e il valore straordinario del lavoro: solo attraverso il lavoro i singoli individui maturano e prendono coscienza delle proprie capacità, e preparano la loro riscossa. Questo tema sarà ripreso più tardi da Marx, che farà del lavoro la caratteristica fondamentale dell'essere umano. In ogni caso, la società civile è il luogo dei conflitti egoistici connessi al lavoro, alla produzione. Lo Stato è "L'ingresso di Dio nel mondo", è un "Dio reale" - dice Hegel. Queste famose espressioni sono al fondamento della statolatria hegeliana, della sua celebrazione dello Stato e della sua autorità. LA FILOSOFIA POLITICA DI HEGEL Hegel ha:
1) Secondo Hegel, lo Stato, ogni Stato - anche il più debole e difettoso - mira a subordinare gli interessi individuali all'interesse collettivo, a imporsi alla frantumazione atomistica della società civile. In questo senso lo Stato è per sua natura intimamente etico: promuove e realizza azioni e comportamenti imparziali e oggettivi, e tende a annientare l'arbitrio individuale. Lo Stato non è - come invece penserà più avanti Marx, e come aveva già pensato Tommaso Moro - uno strumento di cui si servono i gruppi sociali più ricchi e potenti (le classi egemoni) per rafforzare e perpetuare il loro dominio sui gruppi subordinati e più deboli etc. Lo Stato non è mai strumento di potere nelle mani dell'arbitrio di pochi. 2) Lo Stato è una totalità etica (un organismo vitale) del quale i singoli individui
sono soltanto parti, membra: il bene del tutto viene prima del bene delle parti,
e anzi il bene per gli individui deriva dal contributo che ciascuno di noi -insieme
con tutti gli altri - dà solidalmente al bene comune (da Bobbio, STATO GOVERNO SOCIETÀ,
Einaudi, 1995, pp. 14-15). Come in un organismo cuore e mani e braccia collaborano
per il bene di tutti e del tutto, così nello Stato ogni cittadino collabora con
gli altri per il bene del tutto. Ma proprio per questo, perché il tutto viene prima
delle parti, "allo Stato si riconosce il diritto di chiedere ai cittadini il sacrificio
dei loro beni (attraverso le imposte) e della stessa vita (quando dichiara la guerra)"
(da Bobbio, op. cit., p. 34). In questa concezione lo Stato non esiste per il cittadino,
per soddisfare i suoi bisogni e i suoi diritti (come pensavano i giusnaturalisti
come Locke), ma - al contrario - è il cittadino che esiste per lo Stato (Reale/Antiseri).
Hegel non fa che riprendere la antica concezione greca, il "modello aristotelico"
(come lo chiama Bobbio), secondo il quale l'individuo può esistere, crescere, maturare
ed essere libero solo all'interno dello stato ed agendo per il bene dello
Stato.
Come già dicevano gli antichi latini: servi legum sumus ut liberi esse possimus
(Cicerone), ovvero siamo servi delle leggi (dello Stato) per poter essere liberi.
Hegel riprende la concezione di libertà politica che avevano gli antichi: la libertà
degli individui è pensabile solo nello Stato e per lo Stato; al di fuori delle leggi
dello Stato non c'è che caos ed anarchia e morte. Era già l'idea di Aristotele.
È una idea che sarà recuperata dai regimi totalitari del Novecento, e in particolare
dal fascismo il cui massimo filosofo (G. Gentile) si richiamerà esplicitamente a
Hegel. 3) La concezione Hegeliana dello Stato è anti-contrattualistica e antigiusnaturalistica: infatti la dottrina secondo cui alla base della nascita dello Stato v'è un contratto tra singole e autonome volontà fa dipendere lo Stato dall'arbitrio degli individui, e finisce per minare o addirittura distruggere l'autorità e la maestà dello Stato stesso. Inoltre, come già sappiamo, per Hegel non esistono volontà individuali che, in piena autonomia, possano stringere patti e costruire Stati: le singole volontà sono solo mezzi di cui si serve l'astuzia della Ragione per edificare stati e realizzare il suo scopo (quella suprema coscienza di sé che si raggiunge solo nello stato prussiano e nelle opere del filosofo Hegel). Ma la concezione Hegeliana dello Stato è anche ferocemente anti-illuministica (del resto gran parte dell'illuminismo aveva adottato le idee giusnaturaliste e contrattualiste). Hegel rifiuta sia la concezione liberale (Montesquieu) che quella democratica (Rousseau) dello Stato.
LA FILOSOFIA DELLA STORIA IN HEGEL Nella storia niente accade a caso, in modo insensato e disordinato: tutto
(popoli e individui cosmico-storici) è strumento guidato dalla Astuzia della
Ragione (concezione provvidenzialistica: l'assoluto guida e provvede alla
storia)
verso un preciso fine (concezione teleologica): che l'Assoluto (o Ragione,
Spirito) "giunga al sapere di ciò che esso è veramente". Dunque la storia è progressiva
manifestazione e realizzazione dell'Assoluto, della Perfezione: concezione progressiva
della storia: la storia non è regresso né stasi, ma avanzamento verso la realizzazione
del progetto divino. Hegel individua sostanzialmente tre momenti principali del progresso storico, secondo una successione caratterizzata dalla sempre più ampia affermazione della libertà che è propria dell'Assoluto (ovvero la forza incondizionata, sciolta da ogni limite):
LO SPIRITO ASSOLUTO Nelle varie forme di arte, religione e filosofia che si sviluppano negli Stati,
l'assoluto infine prende definitivamente coscienza di sé, conquista il "sapere speculativo"
e diventa SPIRITO ASSOLUTO Lo Spirito Assoluto è l'insieme delle produzioni
culturali (arte, religione, filosofia) sviluppate dai vari popoli. Diciamo subito che le attività culturali indicate hanno un medesimo contenuto: tutte e tre esprimono l'Assoluto, "parlano" dell'Assoluto, trattano dell'Assoluto, lo manifestano o si potrebbe anche dire che l'Assoluto si manifesta a se stesso in tutte e tre le attività; tuttavia esse differiscono per il modo in cui manifestano l'Assoluto: tra arte, religione e filosofia v'è diversità di forma espressiva. E solo la filosofia esprime l'Assoluto in modo pienamente adeguato. Hegel sostiene dunque la superiorità della filosofia su ogni altra produzione culturale.
ARTE ED ESTETICA HEGELIANA L'arte esprime l'Assoluto mediante intuizione,
calando poi questa intuizione dell'Assoluto nella materia sensibile. L'arte è una
forma di conoscenza, sia chiaro (e non mera espressione di sentimenti soggettivi):
l'artista conosce intuitivamente (in modo non concettuale, senza alcuna chiarezza
concettuale) l'Assoluto; l'opera d'arte nel quale l'artista esprime la sua intuizione
è portatrice di contenuti spirituali universali.
Tuttavia l'arte, nel suo complesso, è insufficiente ad esprimere l'Assoluto, proprio perché l'intuizione artistica resta pesantemente condizionata dalla soggettività dell'autore: l'intuizione, come il sentimento, racchiude nel soggettivo, nel privato, nell'incomunicabile, nel mistico. Guardi ad un grande dipinto del passato, e avverti che "non ti dice niente", non lo comprendi, e questo perché la sensibilità e la soggettività dell'artista non è la tua! L'assoluto si manifesta più adeguatamente nella religione e - soprattutto - nella filosofia. Per questo Hegel dice che: "sono trascorsi i bei giorni dell'arte greca, come pure l'età d'oro del basso Medioevo [...] l'arte è e rimane per noi una cosa del passato. Essa ha perduto per noi la sua propria verità e vitalità" (ESTETICA). RELIGIONE La religione coglie ed esprime l'Assoluto nella forma della rappresentazione (Vorstellung). Per "rappresentazione" Hegel intende una forma di sapere intermedio tra l'intuizione artistica e il "puro concetto" della ragione filosofica. Essa è il prodotto dei concetti (non-puri) dell'intelletto. La religione, rappresentando l'Assoluto, resta legata a concetti e schemi intellettuali. Non vi stupisca! Ricorderete che l'intelletto (Verstand) è quella facoltà mentale che vede ovunque separazioni e dualismi e opposizioni "semplici", insuperabili. Ora, la rappresentazione religiosa dell'assoluto (pensate a ebraismo, cristianesimo, islamismo...) non è forse una rappresentazione che pone Dio (l'assoluto) al di sopra del mondo creato, separato da esso, esterno ad esso, in senso teistico? Dio esiste prima e indipendentemente dal mondo, e interviene dall'esterno sul mondo che ha creato. Dio viene pensato come ontologicamente separato dal mondo, come trascendente, e proprio in questo senso per Hegel la religione rappresenta Dio in base a schemi intellettualistici. Nella religione permane l'esteriorità tra Dio creatore e il mondo creato, tra infinito e finito, in modo tale che l'assoluto non è ancora pienamente compreso, ma resta un "al di là". Dio è per la coscienza religiosa un oggetto esterno, commenta il Reale. Questa è l'insufficienza della religione, la sua inadeguatezza. Parla dell'Assoluto, ma ne parla male. La Religione, potremmo dire, è cattivo infinito. E proprio per questo essa genera la coscienza infelice degli uomini. Hegel riprende un concetto (la coscienza infelice) che aveva già sviluppato nella FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO per definire lo stato d'animo dell'uomo religioso, uno stato d'animo particolarmente diffuso nel Medioevo cristiano. L'uomo religioso è una coscienza infelice nel senso che sente il bisogno di Dio ma avverte la lontananza di Dio. Dio, la fonte della sua vita, è posto in una trascendenza e in una lontananza inarrivabile, insuperabile. Anziché pensare che l'Assoluto è in lui (o se preferite: che anch'egli è parte ed espressione dell'Assoluto che vive nel mondo), l'uomo religioso pensa Dio come lontano e terribile padrone della sua vita, e si macera nel tentativo di compiacerlo e raggiungerlo praticando una vita di mortificazione ascetica. Ecco la sua infelicità, l'infelicità che le religioni diffondono rappresentando la fonte della vita dell'uomo come posta in una trascendenza inarrivabile, approfondendo il solco tra finito e infinito, umano e divino. La religione genera infelicità e l'uomo religioso è is qui luget (colui che piange). La religione comunica delle verità, sia chiaro, ma in modo inadeguato perché intellettualistico. Le religioni storiche esprimono l'Assoluto per vie simboliche e allegoriche e dolorose di cui i dotti filosofi non hanno bisogno. Hegel ad esempio interpreta il dogma cristiano della Trinità (Padre - Figlio - Spirito Santo) come espressione simbolica del movimento generale dell'Assoluto: Idea - Natura - Spirito. Le verità malamente e dolorosamente espresse dalla religione sono solo'metafisica per il popolò, di cui i dotti non hanno bisogno. La religione, in questo senso è philosophia inferior, una forma inferiore (rispetto alla filosofia) di espressione della verità. FILOSOFIA Finalmente nella filosofia (e solo in essa) l'Assoluto si manifesta in forma compiuta e adeguata, perché solo qui trova la sua forma espressiva adeguata: i "puri concetti" della ragione (ben superiore ai dualismi dell'intelletto e alle soggettività dell'intuizione e del sentimento). Solo la ragione filosofica, anche se dopo duemila anni di sforzi, riesce a cogliere l'unità del tutto, a scoprire che "il vero è l'intero", che l'Assoluto è l'unica realtà, che tutto ciò che è reale è razionale e intimamente positivo. Qui finalmente lo Spirito Assoluto raggiunge il suo fine: l'Idea ritorna a sé; si conquista, raggiunge il sapere speculativo, si conosce come tutta l'unica realtà. Naturalmente anche la filosofia ha una sua storia, che si conclude con la comparsa della filosofia assoluta, quella di Hegel: "Niente si perde, tutti i princìpi si conservano; la filosofia ultima [...] è la conclusione dei conati dello Spirito in quasi due millenni e mezzo di lavoro serissimo, per diventare oggettivo a se stesso, per conoscersi" (STORIA DELLA FILOSOFIA). La filosofia hegeliana non fa altro che prendere atto dell'identità di reale e razionale, e della compiutezza e positività della realtà. Ancora una volta, Hegel mostra tutto il suo anti-illuminismo. La filosofia dell'illuminismo aveva voluto riformare il mondo, migliorarlo, criticando il presente il vista di un futuro più umano e più razionale; per Hegel la filosofia ha un solo scopo: "mantenersi in pace con la realtà", "riconciliare l'uomo con la realtà". La filosofia non deve insegnare come deve essere il mondo, ma limitarsi a comprenderlo nella sua perfezione. Per questo Hegel scrive ancora che: "intendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è, è la ragione". (Prefaz. a Lin fil. Dir., op. cit., p. 18). La filosofia non deve prescrivere ricette per migliorare il mondo, ma solo intenderlo. La filosofia deve rinunciare a ogni ingenua funzione critica! Per questo, ancora, Hegel - concludendo la prefazione ai LINEAMENTI DI FILOSOFIA DEL DIRITTO - sviluppa la celebre immagine che paragona la filosofia a "la nottola di Minerva [che] inizia il suo volo sul far del crepuscolo". Cioè: la filosofia, come la civetta della dea della Sapienza, giunge quando tutto è compiuto, e non ha più da indicare alla realtà e agli uomini una nuova alba, una nuova via da percorrere per migliorarsi. Lo abbiamo già detto: scopo della filosofia è mantenersi in pace con la realtà e limitarsi a intendere ciò che è.
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