IL PENSIERO
Montaigne (1533-1592) negli Essay, fornisce un
nuovo modello di intellettuale: borghese (egli apparteneva alla piccola nobiltà,
era al servizio della corte,
vicino a Bordeaux), laico (non è un orator) ma colto. Egli era
un filologo, cerca
e ama libri antichi, in primis, da buon umanista, testi classici. Conosce i pensatori greci e latini,
come dimostra nei suoi scritti con abbondanza di citazioni verso di essi
nella loro lingua originale.
I Saggi si presentano come un continuo colloquio; le citazioni non sono
un'esaltazione del sapere dell'autore, ma testimonianza del dialogo coi
classici, con Seneca, con Cicerone, con gli ellenisti, con gli stoici, con
gli epicurei e con gli scettici.
Riguardo a quest'ultima scuola di pensiero Montaigne era al contempo vicino
e distaccato; vicino perché
al contrario delle altre due filosofie ellenistiche non da regole per ottenere
la felicità, ma afferma che non si può sapere, in contrasto invece perché rifiuta
l'afasia (sospensione del giudizio, limitazione a constatazioni di fenomeni
assolutamente episodici) ritenendola una logica distruttiva.
È interessato a tutto ciò che ha a che fare con l'esperienza umana, sente la
necessità di dialogare con chi nel passato ha riflettuto sugli argomenti su cui
anche egli riflette.
Con questo dialogo Montaigne ci consegna una visione tutt'altro che statica,
guarda l'uomo nei suoi passaggi, a volte molto violenti: afferma
proprio che la nostra esperienza di vita è in continuo fluire (in fieri,
in divenire), e noi dobbiamo
capirla, non gettare la spugna di fronte agli eventi e per fare questo il
pensiero di chi è venuto prima di noi può essere utile. Sostiene in sostanza che non bisogna mai rinunciare a riflettere
davanti all'amicizia, di fronte alla morte, al crescere ma al contrario tutto
ciò deve
essere preso come spunto per una riflessione.
I Saggi sono un'autobiografia, si osserva
vivere, pensa alle proprie esperienze, belle o brutte che
siano; in sintonia con il pensiero umanistico, si pone al centro non per egoismo ma perchè ciò che più
lo interessa è l'uomo.
Arold Bloom, critico letterario americano, confronta due personaggi del
Cinquecento: Montaigne che si concentra sempre su stesso, intendendo "partire da
sé per arrivare al senso generale", e Amleto
(personaggio ovviamente fittizio). Essi sono entrambi emblemi del Rinascimento.
Anche Amleto riflette su stesso, si vede
crescere, non è un uomo costituito, non è definito fin dall'inizio della
tragedia, e ancor più importante egli presta attenzione ai suoi cambiamenti; Bloom dice che Amleto si auto-conosce
per potersi auto-costruire: non rinuncia mai alla propria lucidità.
GLI ESSAY
Nell'introduzione agli Essay, Montaigne, dipinge se stesso; dipingendo mi
creo e mi vedo vivere; si guarda vivere sotto forma di essay, parole che significa anche
prove, tentativi: provo a vivere meglio che posso, pennellata dopo pennellata provo a dare un
senso. Nella vita non sono state date direttive, le devo trovare io con
prove e tentativi.
Si dipinge nudo, ha l'impudicizia di parlare di sé con altri che a loro volta l'hanno avuta
(i classici); è più facile mostrarsi
esteriormente che non interiormente, per via della nostra limitatezza.
L'oggetto del libro è dunque l'autore stesso; ironicamente nell'introduzione avvisa il
lettore che non vi è alcuna ragione per cui leggere gli Essay poiché parla di
cose che non lo riguardano. L'obiettivo che si pone è quello di
ricercare la saggezza, e per fare questo si confronta continuamente con
gli antichi.
Non è un diario, è il diario di una coscienza, parla per argomenti delle
sue esperienze, man mano che gli si presentano; viene così chiarita la
vera utilità degli Essay: aiutare a riflettere su se stessi.
Forse sarebbe più comodo essere stabili e immutevoli, ma non e così, siamo in
realtà impermanenti. L'uomo si costruisce da sé, nel bene e nel male
(proprio per questo dipingersi è bello ma faticoso),
è dunque molto importante essere presenti a se stesso: questo è il
concetto espresso negli Essay.
In un saggio, dice che gli altri scrittori vogliono istruire, vogliono costruire
uno stereotipo a cui ispirarsi nella vita quotidiana, e quel che è male è che sono così
per principio, per dictat, per tradizione. Montaigne afferma invece che
bisogna vivere al minuto e anche se così facendo, come è invitabile, ci
si contraddice, non è un problema, l'importante è non perdere se stessi.
Da questo punto di vista l'autore umanista è molto positivo, non bisogna
perdere la speranza in quanto
posso cambiare, posso evolvermi. Montaigne non si
mostra al pubblico come giurista o poeta, ma come Montaigne, e se qualcuno
dovesse lamentarsi che egli parla troppo di sé, risponderebbe che
converrebbe a tutti farlo e che spesso non lo si fa per nulla.
Gli Essay sono scritti durante tutta la sua vita e tanto più invecchia, tanto
meno troviamo ornamenti nei suoi scritti e tanto meno ha ritegno nel parlare di
se.
Nei primi saggi, scritti da giovane, la coloritura è più stoica, sosteneva la
necessità di adattarsi all'ordine del mondo per essere felici, il non avere
paura, il saper affrontare, la morte come giudice della vita, e la ricerca
dell'equilibrio; poi maturando prevale lo scetticismo o socratismo, il "sapere
di non sapere". Affermerà inoltre che il nemico più grande dell'uomo è la
presunzione: l'orgoglio ci porta a ritenere noi stessi superiori, la ragione è più effetto
della nostra presunzione che della ragione stessa.
In questo periodo della sua
vita contesta la
superiorità dell'uomo rispetto a ciò che viene ritenuta la feccia di
questo mondo. Chiamiamo barbaro ciò che
non è proprio dei nostri costumi, affermava in particolare riferimento ai selvaggi del
Nuovo Mondo: chi siamo noi per ritenere incivili gli indigeni delle americhe perché mangiano per un rito religioso
i corpi dei loro defunti, quando noi bruciamo sul rogo a poco a poco
persone ancora vive? Il riferimento è naturalmente alle torture messe in
atto dal Tribunale della Santa Inquisizione.
Arriva a dire che la ragione non è
solo una prerogativa umana.
L'accettarsi non fa di montaigne un medioevale,
come potrebbe si potrebbe immaginare data la scarsa reputazione che ha del mondo, ma
al contrario, pur
facendo riferimento ai classici e alla religione, non rifiuta le relazioni tra
uomini come la politica, pur ricordando che tutto può essere criticato,
rifiuta infatti radicalismi ed estremismi di ogni sorta.
L'AMICIZIA
Montaigne riprende i temi classici dell'amicizia di Aristotele e della scuola
epicurea: sempre all'interno della metafora del dipingersi, l'autore dice che per
rifinirsi prende in prestito il quadro di un altro poiché non riesce più ad
andare avanti da solo: si riferisce all'amico Etienne de la Boetie, prima
conosciuto attraverso i suoi scritti, e in seguito di persona. Non ebbero però
molto tempo per conoscersi poiché Etienne morì dopo poco averlo conosciuto.
Erano
amici perchè si amavano, perchè ero io e perchè era lui, direbbe l'autore: per
Montaigne era come se si fossero conosciuti ancor prima di essersi visti. Non si
tratta di un'amicizia per interesse, e sebbene si incontrassero in pubblico il
rapporto era molto privato. L'amicizia per quanto di breve durata è come se
avesse confuso le loro anime in una sola.
Sebbene la morte abbia portato a termine l'amicizia tra i due, il ricordo
continuerà ad arricchire chi è rimasto.
POLITICAParlando
della sua esperienza politica sostiene che sia necessario un luogo di
incontro dove
dichiarare cosa si è in grado di fare o di cosa si ha bisogno: un luogo
dove si possano incontrare persone in cerca di lavoro e persone
che lo offrono. Certamente non è un'idea straordinaria come
potrebbe essere la repubblica di
Platone, ma è comunque un'idea
grande nel Cinquecento. Il suo obiettivo non è quello di una società perfetta,
ma di un migliore, e per migliorarla vuole partire dalla
limitazione umana.
Un'altro aspetto interessante del suo pensiero è l'accentazione del
rischio in un'ottica vitalista e quindi vicina all'epicureismo:
Montaigne afferma di non aver mai protetto la sua abitazione nonostante
l'elevato numero di saccheggi che avvenivano al suo tempo. Ritiene
infatti che ci si debba affidare alla fortuna (da intendersi come vox media),
e dunque accettare il rischio per non vivere nel terrore.