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Dopo essere stati scaricati dalla Roadrunner Records e aver perso il
proprio singer, gli Annihilator attraversano un periodo buio nel quale
rischiano lo scioglimento; nonostante le difficoltà Jeff Waters riesce a
mettere insieme del materiale che diventerà poi il disco in questione;
lo stesso Waters si occuperà di tutti gli strumenti, ad eccezione della
batteria, e delle parti vocali. Tale scelta sembra dettata sia da
ragioni di budget che da pulsioni artistiche, comunque il nostro eroe
non se la cava tanto male, sfoderando una voce rauca abbastanza adatta
ai pezzi di King of the kill. L'album si apre con The box, song sporca e
claustrofobica riguardante il potere e l'onnipotenza della televisione,
seguita dalla title-track, tosta e veloce; la terza traccia à
Annihilator, introdotta da una bass-line quasi funk che supporta tutta
il pezzo; un arpeggio melodico apre Bad child, song divisa tra attimi
puliti e bruschi strappi heavy, ispirata dal contrasto genitori-figli;
successivamente troviamo 21 e Bliss, una "piccola" canzone sognante e
melodica che serve da intro a Second to none, pezzo in pieno stile
Annihilator; i più accorti converranno con me sul fatto che Life is a
war somiglia in alcuni tratti a One dei Four Horseman, pur mantenendo
decisi tratti caratteristici; la nona traccia è la veloce Speed.
L'ultima parte dell'album si dimostra più matura, sia artisticamente che
tecnicamente, le song sono introspettive e veramente ben suonate, come
ad esempio In the blood o Catch the wind. Tra le quasi inutili bonus
track spicca la ballad Only be lonely. Ragazzi, la buona volontà di Jeff
Waters va ammirata: si è messo alla prova, suonando quasi tutti gli
strumenti e cantando, il risultato è buono ma non è purtroppo
all'altezza delle prime release della band canadese.
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