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Non è passato neanche un anno dal discusso (e
discutibile) Destroyer of Worlds e già il buon vecchio Quorthon torna
sulla scena con Nordland Part I, primo capitolo di una saga di due
dischi incentrati sulle saghe vichinghe, senza però fare mai precisi
riferimenti nè all'Edda di Snorri nè a quella prosaica; una sorta di
mondo nordico secondo Quorthon, o, se preferite, una riproposizione in
chiave personale di miti e leggende della Scandinavia che fu.
Ci sono subito alcune considerazioni rilevanti da fare: Nordland è a
tutti gli effetti un disco viking metal, a differenza del suo
predecessore che sconfinava abbondantemente nel thrash con risultati
sconcertanti. Perchè un repentino ritorno alle origini, ai tempi di
Blood Fire Death e Hammerheart? Viene da chiedersi se si tratta di una
scelta voluta dopo la valanga di critiche oppure qualcosa di spontaneo.
E se la scelta è avvenuta senza alcuna pressione perchè questo nuovo
cambiamento? E' un genio della musica o semplicemente un uomo con tanta
confusione in testa, tanto da non riuscire a seguire un percorso logico,
tornando spesso sui suoi passi?
Divagazioni psicologiche a parte torniamo ad analizzare il disco, che è
la cosa che ci preme di più rispetto alla salute mentale di Quorthon.
Nordland è veramente un bell'album, non particolarmente originale ed
innovativo ma carico di quell'atmosfera epica e maestosa che lo rende
affascinante e lo distingue dai numerosi vichinghetti o presunti tali
che a bordo del Naglfar navigano nell'immenso mercato mondiale.
I riff di chitarra sono lenti, come nella classica tradizione viking,
spesso accompagnati da imponenti cori nei refrain ma intervallati anche
da parti più veloci, elementi folk e stacchi acustici mentre la sezione
ritmica purtroppo si rivela troppo spesso statica, limitata alla mera
funzione di accompagnamento.
Dall'intro (bellissimo, quasi cinematografico ma non pacchiano) fino
alla conclusiva Heimfard non si notano particolari cedimenti e, pur
trattandosi quasi sempre di mid tempos grantici ed epici non sembra mai
di ascoltare due volte lo stesso brano.
Imponente l'iniziale Nordland, una marcia di battaglia che si snoda
lungo nove minuti costruiti su una struttura estremamente semplice e
lineare ma dannatamente coinvolgente, con chorus evocativi, clean vocals
(le parti vocali più aggressive sono di fatto inesistenti) possenti e
maestose e il riff portante figlio di quegli stessi capolavori scritti
da Quorthon stesso anni or sono.
Ancora più affascinante la successiva Vinterblot con il suo incedere
ossessivo e tronfio e che riporta alla mente sterminate coste battute
dal mare e dai venti gelidi invernali.
Sembra invece riaffiorare l'incubo thrash a tratti su Dragon's Breath ma
fortunatamente si tratta solo di un'impressione perchè il brano riprende
esattamente il discorso iniziato con gli altri due e stupisce vedere con
quanta facilità quest uomo schivo e riservato riesca a colpire così nel
segno la mente dell'ascoltatore, tanto è impossibile non sentirsi
letteralmente immersi in una landa innevata.
C'è spazio anche per un rilassante e notturno brano acustico, Ring of
Gold, che pare scritto di getto, senza forzare troppo per limare i
particolari ma lasciando che sia la chitarra a parlare, accompagnata da
ottime linee vocali. Parti acustiche che ritroviamo anche
nell'introduzione di Broken Sword, prima che un drumming sostenuto ci
accompagni direttamente nel campo di battaglia, con nitriti di cavalli,
spade sguainate ed epici cori, per poi tornare nel finale su binari più
calmi, con una chitarra classica ed il rumore del vento a concludere
l'episodio più veloce del disco.
Foreverdark Woods lascia invece spazio alle parti folk sopra citate,
ricordando ad Einherjer, Thyrfing e soci chi ha poggiato i primi
mattoncini per costruire un intero movimento viking e risultando al
termine dei suoi otto minuti uno dei pezzi più riusciti del lotto. Non
si può dire lo stesso di Great Hall Awaits Fallen Brother. Non che sia
un brutto brano ma, perdonate l'irriverente paragone, nella strofa
sembra di ascoltare la colonna sonora de "La storia infinita" suonata
con la chitarra elettrica. A chiudere il disco, dopo il mezzo passo
falso, ci pensa l'antemica Mother Earth Father North, un inno in
perfetto stile epic, sofferto e pieno di pathos.
Nordland ci ha riconsegnato un mito, un personaggio che ha ispirato un
numero incalcolabile di band dagli anni ottanta ad oggi. Non si tratta
nè del suo disco migliore nè del disco capolavoro del 2002 nè del disco
che segna la svolta per il viking metal; è però un album che sa
affascinare e centra in pieno l'obiettivo, di questo bisogna renderne
atto.Bentornato Quorthon, e speriamo che questa dieta a base di
cinghiale ed idromele duri ancora a lungo.
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