<%
'ADV_ORGANIZER 1.0 | formato, categoria, base, altezza, unico, disposizione, voto, dove, numero,tipo,refresh,output
response.write(organize_adv(0,categoria,300,300,,,9,,1,0,1,))
%>
<%
'ADV_ORGANIZER 1.0 | formato, categoria, base, altezza, unico, disposizione, voto, dove, numero,tipo,refresh,output
response.write(organize_adv(0,categoria,300,300,,,8,,1,0,1,))
%>
|
A distanza di qualche mese da Nordland Part I il buon
vecchio Quorthon chiude la saga vichinga con il secondo capitolo
ispirato alla mitologia norrena. Come era forse lecito aspettarsi,
questa seconda parte non aggiunge nè toglie niente a quanto ascoltato
prima mantenendosi su binari di discreta qualità (segno tangibile che la
one man band sembra essersi ripresa dagli scempi thrash) e nonostante le
ovvie assonanze con la prima parte si lascia comunque ascoltare con
piacere.
La struttura delle canzoni è sempre uguale: riff epici, spesso lenti ed
evocativi, batteria che non va oltre il semplice accompagnamento e voce
pulita. Niente marchingegni elettronici, tastiere o quant altro, un
viking metal che appartiene al passato ma ancora capace di dire
qualcosa.
La produzione stessa non differisce di una virgola rispetto al suo
predecessore e, per non sbagliarsi, anche la copertina appare quasi
identica alla precedente. Insomma, nessuna novità ma un disco che sa
farsi apprezzare con alcuni brani tra i più belli composti dal
polistrumentista svedese negli ultimi anni. E'il caso ad esempio della
folkeggiante Sea Wolf, costruita attorno ad il flauto e vicina a
sonorità più moderne (leggi: Moonsorrow) oppure di Vinland e del suo
irrestitibile ritornello che tra cori imponenti e riff duri coinvolge
come pochi altri brani all'interno del disco.
In linea di massima però Nordland Part II si distingue rispetto al primo
per le sonorità più aggressive, senza che ciò facciano perdere l'alone
di epicità che si respira, anche se forse sarebbe stata necessaria una
produzione diversa, soprattutto per il suono delle chitarre.
L'aggressività che ritroviamo, oltre che nella già citata Vinland, anche
in Death and Resurrection of a Northern Sun (eccezion fatta per la lunga
parte centrale) e in Flesh of the Silverhammer.
Non fondamentali, invece, le due lunghe The Messenger e The Wheel of
Sun, classici brani "à la Bathory" che pur non aggiungendo nulla al
disco faranno sicuramente felici i fans di Quorthon, che non ha mai
avuto la velleità di presentarsi come un compositore cervellotico ma che
ha sempre trovato la formula giusta lì dove ha puntato sulla semplicità
e la circolarità del riffing. Ribadisco quanto detto di positivo nella
recensione del primo capitolo, ma resta comunque un lavoro destinato
soltanto ai fan di vecchia data, per tutti gli altri il consiglio è
quello di passare alla prima trilogia viking per avvicinarsi alla musica
di Bathory.
|