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Il power è un tipo di metal che troppo spesso ha propinato gruppi
identici gli uni agli altri, che in troppe occasioni ha vissuto della
rendita di tre o quattro cliché riproposti pedissequamente senza alcuna
originalità e nel quale non si contano le formazioni messe su appunto
per speculare sulla popolarità del genere; eppure, come spesso accade,
laddove le capacità e il gusto siano realmente presenti, i gruppi veri,
seri e, soprattutto, geniali riescono comunque ad emergere dalla massa,
a farsi notare, a distinguersi. I Blind Guardian appartengono a questa
categoria. Il primo lavoro di questi tedeschi ("Battalions of Fear",
datato 1988) mostra un'attitudine vicina agli Helloween di "Walls of
Jericho", una specie di miscela fra thrash e Judas Priest arricchita di
refrain facilmente memorizzabili ed epicheggianti; la maturazione
tuttavia è rapida e porta da subito buoni frutti: i Guardian
approfondiscono la loro passione per l'immaginario fantasy d'autore (Tolkien
in particolare) ed evolvono adeguatamente la propria proposta musicale,
rendendo il tutto più melodico ed epico ma al tempo stesso mantenendo un
sound grezzo e diretto (soprattutto per ritmiche e riff) non lontano dal
thrash classico. Questo cambiamento inizia a farsi sentire con lo
splendido "Tales from the Twilight World", del 1990, ma si rende ben
manifesto solo con questo "Somewhere Far Beyond" (1992) , un disco che
ha di fatto lanciato il power come genere e che, insieme ai successivi "Immaginations
from the Other Side" e "Nightfall in the Middle-Earth", fa parte di un
trittico di capolavori che entrano di diritto nella storia di tutto il
metal. Il connubio fra le atmosfere epiche/decadenti e l'impatto diretto
delle radici pseudo-thrash emerge qui in tutta la sua chiarezza,
riuscendo nel compito di forgiare un lavoro davvero unico nel suo
genere. L'opener "Time What is Time" parla chiaro in merito; introdotta
da un delicato arpeggio acustico, spezzato da un riff assassino, mostra
una struttura veloce e dirompente, sorretta dalla doppia cassa del
fenomenale Thomas Stauch (uno dei batteristi più capaci e sottovalutati
di tutto il metal) e da un coro da lasciare senza fiato. Ancora più
devastante risulta la successiva "Journey Through the Dark", anche
questa pesante come un panzer, velocissima nell'incedere, dal refrain
apocalittico, la cui violenza viene mitigata dalla successiva, delicata
"Black Chamber", breve intermezzo per sola voce e piano. Hansi Kursch
non è certo un cantante professionista, ma la sua voce calda e robusta
diviene da subito un apprezzato marchio di fabbrica per questa
formazione, così come i suoi testi, davvero degni di nota nell'ambito di
un genere che non va molto al di là dei cliché legati a spadoni, draghi
e onore; niente (o poco) di tutto questo troverete nelle liriche del
guardiano cieco, molto più introspettive ed intimiste, che laddove
trattano di fantasy lo fanno in maniera originale e con riferimenti
assai più acuti alla letteratura del settore. Proseguendo nell'ascolto,
ulteriore gemma del disco è "Theatre of Pain", meno frenetica e
arricchita da arrangiamenti orchestrali molto ben fatti, mentre si
ritorna allo speed metal con le successive "The Quest for Tanelord" (il
solo centrale è suonato da Kai Hansen) e "Ashes to Ashes". "The Bard's
Song – In the Forest" non ha quasi bisogno di presentazioni, trattandosi
di uno degli inni assoluti dei Blind Guardian, eseguita costantemente in
tutti i concerti del gruppo e cantata a squarciagola dal pubblico;
trattasi, per chi non la conoscesse, di un pezzo interamente per
chitarre acustiche e voce, le cui atmosfere fra il folk e l'epico hanno
fatto scuola a generazioni di band. Segue "The Bard Song – The Hobbit",
il cui testo è ispirato all'opera di Tolkien "Lo Hobbit" (l'antefatto
del "Signore degli Anelli") , che rischia di passare inosservata in
mezzo a tanta magnificenza e che invece rappresenta uno dei migliori
episodi del gruppo, grazie al suo incedere lento e al bellissimo coro
che la sorregge. Da notare, per inciso, che l'amore dei Guardian per le
opere di J. R. R. Tolkien risale ad almeno dieci anni prima che questa
divenisse una moda mondiale: quando si dice "Leaders, Not Followers"...
A chiudere l'opera ci pensa la stratosferica title-track, quasi otto
minuti di tempi tiratissimi e passaggi epici che ci portano attraverso
terre lontane e atmosfere misteriose; ancora una volta i quattro bardi
stupiscono l'ascoltatore con un pezzo unico, degna conclusione di un
lavoro che non conosce punti deboli.
La produzione rappresenta un discorso che va affrontato a parte; autori
di una serie di dischi quasi tutti di grande qualità, i Guardian hanno
sempre optato per un tipo di produzione davvero particolare, ma, per
certi versi, non sempre apprezzata. Se infatti il suono della batteria
in numerosi lavori (compreso "Somewhere...") è discutibile (e con Stauch
dietro le pelli questo è davvero un peccato) , va detto anche che, in
compenso, da sempre molto ricercato è stato il lavoro delle due asce
Siepen e Olbrich, due musicisti che hanno definito nel corso degli anni
uno stile e un suono rimasti ineguagliati ed inimitati; d'altro canto,
sempre a scapito della sezione ritmica è stata la scelta di non
avvalersi di un bassista professionale, lasciando l'ingrato compito allo
stesso Kursch (che non è certo un maestro dello strumento) e mixando il
tutto in modo da nascondere eventuali imperfezioni. Insomma, trovandomi
qui a dare un giudizio, penso che un occhio di riguardo in più per la
sezione ritmica (a livello di mix per la batteria e di mera esecuzione
per il basso) non avrebbe fatto male, ma questa è ovviamente un'opinione
personale. "Somewhere Far Beyond" rimane un capolavoro da riscoprire
obbligatoriamente.
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