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Quando si parla di un gruppo come i Death Angel autori di dischi
fondamentali quali Act III, The Ultra-Violence, mentre la maggior parte
di noi erano ancora impegnata nella lotta contro l'acne adolescenziale,
si vorrebbero stendere un elogio di complimenti in una distesa di
lusinghe. Dopo undici anni di attesa il ritorno di questa band
fondamentale è segnato dall'uscita di The Art of Dying. Un disco bello,
anzi bellissimo considerando la media del genere. Ci sono però alcuni
elementi che non lo rendono il capolavoro che molti si aspettavano. I
primi quattro brani sono obbiettivamente molto belli, delle bordate
thrash nella più classica tradizione del thrash metal mad in bay area.
Dall'iniziale Throne to the Wolves che è la canzone thrash che ognuno di
noi sogna di ascoltare, trascinante, con una melodia immediata e ricca
di assoli. Le successiva 5 steps of Freedom e la velocissima Thincker
than Blood sono altri due ottimi pezzi, il primo per gli arrangiamenti
riuscitissimi, la seconda per l'immediatezza nonostante la solita
sottile frenesia armonica e ritmica che pervade tutte le canzoni del
gruppo.
Una direzione molto più cupa e tenebrosa è invece quella intrapresa da
The Devil Incarnate, maligna e quasi surreale grazie all'apporto vocale
di Mark Oseguada.
La prima parte del disco sembra dunque convincere appieno, belli gli
arrangiamenti e le idee che seppur non trascendentali reggono e riescono
a mantenere alta l'attenzione e il coinvolgimento dell'ascoltatore. Da
Famine in poi però c'è una caduta incredibile. Tranne alcuni spunti
sporadici il disco cade in una parabola discendente, che grazie al cielo
non arriva a toccare baratri di inutilità ma si assesta su livelli di
mediocrità considerata la fama e la capacità del gruppo in questione. Le
canzoni: Spirit, Prophecy, land of Blood scorrono via senza lasciare
traccia. Piacevoli e orecchiabili ma non lasciano nulla, manca quel
guizzo di genialità che è (era?) caratteristica tipica dei Death Angel.
Sono esclusè Nòè la sua anima rockeggiante e la conclusiva World to the
Wise che è una ballad ben riuscita, grazie alla bella interpretazione
vocale di Mark. I suoni sono perfetti, potenti ma con una patina retrò
che ricorda i cari dischi degli anni che furono, ed ogni strumento ha il
proprio spazio. In conclusione il nuovo disco dei Death Angel non è il
capolavoro assoluto che tutti avrebbero voluto sentire ma si attesta
come un'uscita comunque sopra la media del genere e che merita tutto il
nostro rispetto.
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