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Death Cult Armageddon è il secondo capitolo della terza era Dimmu
Borgir, una band che, tra cambi di rotta forzati, evoluzioni stilistiche
e una line up che sembra un porto di mare ha saputo cambiar pelle in
modo netto nel corso della sua carriera. Sempre fedeli alle 101 regole
del Black Metal (regola 87: If possible, design the title of your album
so that it consists of three completely unrelated words. Dimmu Borgir
are the master of this (i. E. Enthrone Darkness Triumphant, Spiritual
Black Dimensions, Puritanical Euphoric Misanthropia, Godless Savage
Garden) anche stavolta non si dimenticano le tre fatidiche parole, ma se
non altro in questo caso il titolo ha un senso e una correlazione con la
musica.
Non deve essere stato facile per Shagrath e compagni bissare il successo
del disco precedente, anche se onestamente continuo a ritenere
Puritanical un disco fin troppo sopravvalutato dalla critica, ma Death
Cult Armageddon può tranquillamente definirsi il disco della
consacrazione per la band. Intanto, finalmente, la line-up è rimasta
stabile e con un paio d'anni di esperienza insieme alle spalle. Non che
gente come Barker, Galder o Vortex necessitino di esperienza per
crescere ma a giovarne è stato l'affiatamento del gruppo e il sound dei
Dimmu Borgir 2003 può essere definito come la summa di tutti i lavori
precedenti della band.
Se è vero che musicalmente si avvicina a Puritanical, non si possono non
osservare alcuni echi del passato, che vanno ad abbracciare un po'tutta
la discografia dei Dimmu Borgir, dal fondamentale For All Tid ad oggi.
La componente death-thrash c'è sempre, l'uso delle tastiere non manca
mai così come alcuni assoli al limite dell'heavy metal, ma stavolta a
fare realmente la differenza è l'atmosfera che si respira all'interno
del disco.
Un vero armageddon, come suggerisce il titolo stesso, un'esplosione di
suoni violenti, di sferzate lancinanti e di suggestioni oniriche che
deve gran parte del fascino alle orchestrazioni della filarmonica di
Praga e di Mystis.
Contemporaneamente però, Death Cult Armageddon è anche il disco più
vicino al black metal che i Dimmu Borgir abbiano mai composto, creando
una sorta di compromesso tra il classico sound norvegese e un
personalissimo gusto per la melodia che li ha resi nel bene e nel male
una delle band più importanti dell'intera scena scandinava.
Non tutto è perfetto però e tra le note negative segnaliamo soprattutto
due cose: la prima è che troppo spesso ciò che manca è la capacità di
sintesi, di far sì che un bel brano non diventi talmente lungo ed
interminabile da far perdere la voglia di sentirlo dopo due ascolti.
Troppo spesso si accetta l'equazione "brano lungo=brano complesso" , ma
se la complessità significa trascinare per otto minuti lo stesso riff
allora ben venga la banalità.
Secondo punto importante è la voce di Shagrath, che a differenza di
molti suoi colleghi sembra si stia indirizzando verso una pericolosa
involuzione; dello screaming raggelante degli esordi si sono perse quasi
del tutto le tracce, offuscato dal tentativo (lodevole nelle intenzioni)
di cimentarsi su tonalità diverse, purtroppo con risultati troppo spesso
altalenanti.
Le prime sorprese invece si notano fin dall'opener: Allegiance quasi non
sembra un brano dei Dimmu Borgir ma più un curioso mix tra i primi e gli
ultimi Limbonic Art, con tanto di drumming talmente furioso da sembrare
una drum machine. L'intro quasi industrial non deve trarre in inganno,
subito si ergono imponenti le tastiere e l'orchestra, per quello che
sarà il vero marchio di fabbrica dell'album. Le ritroviamo ancora più
maestose in Progenies of The Apocalypse (primo singolo estratto dal
disco) , uno dei rari brani in cui appare anche Vortex in veste di
cantante, in uno stacco melodico che ricorda da vicino Colossus dei
Borknagar. Il finale è inquietantemente tranquillo, caratteristica che
ritroveremo soprattutto in Blood Hunger. L'industrial invece ritorna in
Leper Among Us, uno dei brani più fiacchi dell'album che soffre
soprattutto nella parte centrale, dove si trascina stancamente su un
riff ossessivo ma noioso, denotando un pericoloso calo delle idee che si
ripropone su For The World To Dictate Our Death, una sorta di mid tempo
accelerato, risollevato a malapena dalle tastiere. E'curioso notare
quanta importanza rivesta questo strumento nell'economia del suono dei
Dimmu Borgir, quasi una beffa per una band che da sempre dichiara di
appartenere alla scena black. In realtà di black, anche qui, non ce ne è
molto, anche se Unorthodox Manifesto o l'inizio della già citata For The
World.. Sono un passo avanti sotto questo punto di vista. In realtà ai
Dimmu basterebbe ammettere di suonare la propria musica, invece di
perdersi in sterili quanto patetiche polemiche; una musica che mai come
in questa occasione potrebbe essere l'ideale colonna sonora di un film:
Blade Runner per Progenies of the Apocalypse, un film di Tim Burton per
Eradication Instincts Defined (stupende le sue atmosfere fiabesche ma
con un'ombra di malvagità che vi aleggia sopra) tanto per citare due tra
i pezzi più riusciti dell'album. I riferimenti ai vecchi dischi, come ho
citato sopra, li ritroviamo un po'ovunque, da Blood Hunger (il cui suono
sembra uscito da For All Tid) a Vredesbyrd, rivisitazione in chiave
moderna dello storico Stormblast, fino a Cataclysm Children e le sue
tastiere di derivazione Enthrone Darkness Triumphant. Riferimenti che
non sanno di effetto deja vu, quanto di un filo diretto col proprio
passato, doverosamente tributato senza scopiazzature.
Non mi soffermo sulla produzione (affidata ai Fredman Studios) , che
come sempre rasenta la perfezione nè sulla copertina (grosso passo
avanti rispetto all'oscenità disegnata in tutta fretta su P. E. M.)
Perchè sono dettagli quasi inutili per una band con un budget così
elevato. Pur continuando a preferire i primi dischi non posso non
constatare che i Dimmu Borgir di oggi sono questi e che Death Cult
Armageddon è una spanna al di sopra del suo predecessore e credo che
questo sia abbastanza per farvi capire che l'otto settembre sarebbe un
peccato non fare un salto dal vostro negoziante di fiducia.
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