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Nel 1996 i Dimmu Borgir possono ancora fregiarsi pienamente del titolo
di black metal band; il gruppo è in azione nella scena underground
norvegese, grazie al successo riscosso dal fenomenale album di debutto
"For All Tid", a fianco di importanti nomi della scena, quali Dark
Funeral, Gorgoroth, Carpathian Forest, Emperor, Darkthrone e chi più ne
ha più ne metta. La line up è ben diversa da quella presente (ma va?),
annoverando il cantante Shagrath anche alla chitarra solista,
Erkekjetter Silenoz come chitarrista ritmico e cantante ausiliario,
Stian Aarstad alle tastiere (lo stesso del successivo "Enthrone Darkness
Triumphant"), Brynjard Tristan al basso e Tjodalv alla batteria; ben
diverso è anche il sound proposto dai cinque norvegesi rispetto a quello
dei loro connazionali. Alla gelida furia della maggior parte delle
release black del periodo, infatti, i Dimmu Borgir contrappongono uno
stile sì freddo e nordico, ma anche decisamente meno thrasheggiante o
violento; le tastiere sono da subito parte integrante dei pezzi del
gruppo, contribuendo a conferire al tutto un tocco decadente, molto
suggestivo, a tratti quasi romantico, e la maestosità di pezzi quali la
raggelante opener "Alt Lys Er Svunnet Hen" (che tradotto significa "Ogni
luce è sparita") la dice lunga in merito. Lungo l'intro per tastiere e
flauti sintetizzati, dirompente (ma non troppo) l'ingresso degli altri
membri, che con l'alternarsi di riff scarni ma efficaci intessono una
cavalcata al limite dell'epico, il suono di una gelida foresta norvegese
in piena notte; nonostante nel recente DVD "World Misanthropy" possiate
trovare un interessantissimo clip del pezzo in cui a suonare sono solo
Shagrath, Silenoz e Tjodalv, la versione originale deve gran parte del
suo fascino ai fraseggi di tastiera, semplici eppure evocativi come non
mai. Non da meno sono la successiva, lentissima "Broderskapets Ring" o
la melodica "Nar Sjelen Hentes Til Helvete" ("Quando le anime vengono
condotte all'inferno"), mentre desta scalpore la splendida strumentale "Sorgens
Kammer", per solo pianoforte; tutte canzoni, queste, nelle quali emerge
l'importanza della tastiera quale strumento fondamentale nel sound della
band, fondamentale esattamente quanto le chitarre, che invece intessono
riff e ritmiche assolutamente minimali. Stian Aarstad non avrà le
caratteristiche tecniche del superlativo Mustis, ma le idee che ha
fornito nella stesura dei primi lavori della band sono semplicemente
grandiose: poca tecnica ma molta espressività, melodia e gelo, il suono
triste e cupo della Norvegia. La fenomenale title-track rappresenta un
altro dei momenti alti del disco, probabilmente una delle composizioni
più incisive mai stese dai Dimmu; introdotto da un riff estremamente
semplice, il pezzo ha i suoi punti di forza ancora una volta nelle
melodie delle tastiere, dapprima epiche, poi più oscure e decadenti,
come ben si può evincere dall'outro accompagnato dalle toccanti
partiture di pianoforte; eseguita ancora oggi dal vivo a chiusura
concerti, questa canzone merita un posto a parte nella discografia dei
Dimmu Borgir, accanto ad altre perle quali "Mourning Palace" o
"Entrance". Ingiustamente sconosciuta è la successiva "Dodsferd" ("Il
viaggio della morte"), anche questa un piccolo gioiello in pieno
nordic-style, sostenuta da un fraseggio di chitarra di grande effetto e
da una melodia per flauti molto originale, mentre più ortodossa è "Antikrist"
(c'è bisogno di tradurre?), questa maggiormente chitarristica.
Molte tastiere, quindi, molta melodia, chitarre semplici e scarne: i
riff sono ai limiti dell'heavy, quasi soft per questo genere, mentre il
suono, ancora un tantino poco curato (per usare un eufemismo: la
produzione fa vomitare), riesce comunque nell'intento che si prefigge,
ossia l'estremo, il gelo, il minimalismo più totale. Ultimo disco sotto
Cacophonous, "Stormblast" è considerato da molti fan della band come il
miglior lavoro dei Dimmu Borgir; lo spirito decisamente underground con
il quale venne realizzato, in effetti, ci mostra l'aspetto più true dei
cinque norvegesi che, negli anni a venire, pur fregiandosi di dischi di
altissima qualità, perderanno i legami con la scena black vera e
propria.
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