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Fabrizio De André
Voce: Fabrizio De André
Fabrizio De André è indubbiamente uno dei più grandi poeti
italiani di sempre, che ha potuto far conoscere la sua abilità grazie
alla veste di cantautore. La sua ispirazione musicale era variegata e per
lo più affondava le sue radici nella musica tradizionale delle più varie
zone d'Italia e d'Europa. Ma anche dal punto di vista dei
contenuti la discografia di Faber è un viaggio lungo l'Italia da Sud a
Nord, da una Rimini borghese all'antica città portuale di Genova, dalle
campagne sarde a quelle siciliane, passando anche per l'America delle
stragi degli indiani, e le piazze del 1968, ma anche seguendo popoli nomadi
ovunque e da nessuna parte. Nel suo repertorio sono rimaste famose
molte canzoni come "Bocca di rosa" o "La Canzone di Marinella", ma De
André non era solo questo, se si approfondiamo la sua produzione troviamo
canzoni molto più dure, difficili, ma assolutamente da ingoiare per
quanto le sentiamo Vere, ma di una verità irrazionale, che giustifica
assassini come ne "Il Pescatore" o in "Avventura a Durango", o ancora
Miché, il Bombarolo e così via. Eppure, se si ascoltano questi brani
senza pregiudizi, non si può che identificarsi e avere compassione per
questi personaggi, emarginati, reietti e talvolta maledettamente
colpevoli; si tratta solo di un rapimento dovuto alla seduzione della sua voce? O la cura riposta nella scelta e composizione
delle melodie? Se prestando attenzione alle sue parole si provano sensazioni di
questo genere non è un semplice trucco poetico, ma bensì la nostra parte
non-logica che emerge, sconvolgendoci e gridandoci che ciò che pensavamo
fosse giusto, ciò di cui ogni giorno la nostra razionalità tenta di
convincerci, supportata dall'ordine costituito, è in realtà falso. E
improvvisamente il "rubare quando si ha fame" ("Nella mia ora di
libertà", da "Storia di un impiegato"), le convenzioni borghesi appaiono
sotto una nuova ottica, quella dello sconfitto, di chi
perde, l'ottica della minoranza. È infatti di minoranze che De André
racconta, se non addirittura di individui. Da qui la sua visione politica,
inquieta, sempre in protesta, persino contraria ad una democrazia dove a
vincere sono le maggioranze, a scapito delle minoranze. Quando si
ascolta Fabrizio non ci si può fermare a "La Canzone di Marinella", ma
bisogna avere il coraggio di andare oltre, di buttarsi a capofitto in
quello che all'inizio può apparire come un nero baratro di infinita
tristezza e solitudine (risparmiandoci la banale definizione di
"pessimismo"). Ciò è solo un mezzo di cui De André si serve per estrarre a viva
forza l'ascoltatore dalla cappa di ipocrisia e ottusità che ricopre la
società borghese e portarlo a capire profondamente l'animo umano, il
vivere insieme e persino la realtà stessa. Chi segue il poeta genovese
fino in fondo, si ritrova in una crisi continua, disorientato, senza più sapere cosa è
giusto e cosa è sbagliato, dove sta il limite. Ma se De André pone il
problema non è di certo lui ad offrire la soluzione. Sta al singolo
procedere nella ricerca individualmente, lottando, senza
mai certezze, se non quella di sapere che "al mondo c'è il bene e c'è il male" ("Un
Blasfemo", da "Non al denaro, non all'amore né al cielo") ma che la
differenza tra questi estremi è tanto sfumata che non possiamo
permetterci di giudicare nessuno. Il messaggio che De André scocca è
probabilmente rivoluzionario quanto lo fu quello di Cristo, ormai
normalizzato dalle istituzioni per una società borghese ("Coi tuoi santi
sempre pronti a benedire i tuoi sforzi per il pane", "Canzone per
l'estate" da "Volume 8"), ma molto più
umano, sia perché privo di una conclusione, come fosse decapitato, ma
anche per l'anelito di libertà che porta in seno.
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