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Scritto da: Giancarla Vietti | Discuti sul FORUM | ||
ARTICOLO | IMMAGINE | |
Non lasciare che le cose cadano nel vuoto del tempo. La frase risuona. Attraverso altre terre, inizio a scattare fotografie. Mi approprio di immagini che diventano mie, in una interazione appassionata tra me e il mondo esterno. Infatti, la fotografia è l'arte, attraverso cui, ci approssimiamo alla realtà, sorprendendola, fagocitandola, rischiando di coglierla nella domanda di consistenza più intima. Fotografare è continuare a fermare e domandare. Le parole, da sole, ci sembra che, a poco a poco, inizino a rispondere solo attraverso segni molto parziali, alla nostra indagine sul reale. La Protetta Navigando in mezzo a questi pensieri, facendo tesoro del viaggio, arriviamo, prima di quanto non ce lo aspettassimo, ad Istanbul, la "Protetta". Così la chiamo, poiché per giungervi, bisogna attraversare, nello spazio di due o tre ore, a seconda del mezzo di trasporto, il lungo, mitico Stretto dei Dardanelli, che introduce nel fascinoso e chiuso Mar di Marmara. Esso, nelle guerre storiche, risultava facilmente difendibile, dato che sfocia, e di nuovo si chiude, in un altro stretto, quello del Bosforo. Questo braccio di acque, lungo 31 km. e largo da 600 a 1500 m., mette il Mar di Marmara, a sua volta, in comunicazione, col Mar Nero, anch'esso senza uscita. Lungo le due rive del Bosforo, unite da un ponte, si estende, ampia, la città di Istanbul, che viene così ad avere una sponda europea ed una asiatica. Un tempo non era così semplice passare da una sponda all'altra, per tutte le ragioni burocratiche e politiche! Oggi il problema, nelle ore di punta, é il traffico, che tiene bloccati, ci dicono, anche per ore. Noi, a colpo d'occhio, comunque, in città, non abbiamo questa impressione. Dai racconti che mi erano stati riportati, mi aspettavo una congestione maggiore. Navigando, poi, dall' esterno, proprio si tocca da vicino, quasi si gusta, la preziosità della posizione geografica, così difesa e protetta, da renderla, nel tempo, tanto ambita, essendo situata in presenza di due stretti. Una megalopoli, densissimamente abitata da 12 milioni di persone. Essa, fino ad ora, come affermano, con un pizzico di orgoglio i suoi abitanti, può definirsi, per popolazione, la quarta città del mondo. Dal lato urbanistico, ormai ci troviamo in una capitale moderna, con tutti i pregi e i difetti contemporanei. Tutti, qui, spesso, ripetono con sicurezza che nel giro di dieci anni, la Turchia sarà pronta ad entrare in Europa. La mitica storia dei secoli passati, ora, si respira solo nei punti focali della nervatura interna della città, appunto, nel centro antico. E' possibile conoscere la sua anima, agli occhi di un viaggiatore in rapido passaggio, già nelle parole della guida locale. Nil: una donna e il suo mondo La nostra è una guida speciale. E' una giovane donna moderna, abbigliata all'ultima moda, molto bella e fine, con tratti europei, si chiama Nil. I suoi occhi sono scuri, i capelli, di media lunghezza, sono castani, con una leggera colorazione a riflessi ramati. La pettinatura richiama vagamente gli anni '50, ha una leggera cotonatura, ed è una cosa voluta, "à la page". Ella ci fa notare che, a causa del nomadismo antico della sua popolazione, noi vedremo i Turchi tutti diversi fra loro, con caratteri somatici non sempre costanti. Troveremo, cioè, Turchi scuri oppure biondi, alti o bassi e così via. Proprio perché, nel loro peregrinare, essi si incrociarono con svariate etnie. Nil ci fa viaggiare a ritroso nel tempo: il suo popolo viene dall'Asia centrale, in prossimità della Cina! Trattandosi di nomadi pastori, vuoi perché in cerca sempre di nuovi pascoli, vuoi perché scacciati da altre popolazioni, furono costretti sempre a spostarsi e, nel contempo, come dicevamo, a mescolarsi ad altri popoli. Nei loro spostamenti si innamorarono di un fiore, rinvenuto in Asia centrale, che parve loro troppo bello: il tulipano. Curiosamente esso non è, dunque, originario dell'Olanda, che ne ha fatto un culto e vi ha costruito parte della propria economia. Esso era chiamato dai pastori turchi, il "fiore degli dei", sia per la sua bellezza, ma, soprattutto, per il fatto che cresceva solo in luoghi alti, elevati, su, verso la vetta delle montagne. Così portarono con sé quei bulbi, diffondendoli, poi, in Europa. Oggi se ne ammirano a profusione, nei giardini e nel Palazzo storico del Sultano. Le donne di questi pastori usarono i liofilizzati "ante litteram", in quanto, conoscendo ed raccogliendo molte erbe che rappresentano il fabbisogno della nutrizione dell'uomo, le facevano seccare, per poi poterle portare con sé negli spostamenti, magari in luoghi dove sarebbe stato più difficile trovarle o in luoghi addirittura desertici. Ancora oggi esiste un piatto tipico, che contiene queste svariate erbe, fatte rinvenire in acqua, prima di usarle e cucinarle. Questi nomadi, per esprimere la parola "paese", usarono lo stesso termine che significa anche "tenda". La tenda è il paese e il paese è la tenda. Un' etnia sempre in cammino, finché non trovò il proprio luogo definitivo, sempre frammischiata ad altre genti. Tuttavia essi mantennero una cosa: la lingua, l'unità linguistica. Questa fece di essi un popolo, per sempre.
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