La globalizzazione è fondamentalmente un'omologazione del mercato, dei
consumi, della cultura e di molto altro ancora a livello internazionale.
Essa è caratterizzata da stretti rapporti di interdipendenza tra gli Stati, resi possibili
solamente grazie alle odierne comunicazioni.
Uno dei principali fattori che ha permesso la nascita e lo sviluppo della
globalizzazione è stato dall'annullamento distanze a opera proprio delle
comunicazioni,
Internet in particolare: si è trattato di, come la definisce Bauman, una sorta di "Grande Guerra di indipendenza
dallo spazio". Paul Virilio parla addirittura della "fine della geografia", in
quanto essa si basa sulle distanze, le quali hanno senso solo in quanto è difficile,
richiede tempo o
denaro compierle.
Nel mondo globalizzato i singoli Stati perdono importanza, la loro sovranità
vacilla; per chiarire questo concetto si potrebbe fare un parallelo con la prima volta che
secondo alcuni ci si è resi conto della scarsa rilevanza dei confini , ovvero ai
tempi della tragedia di Chernobyl, quando il pericolo
coinvolgeva tutti indipendentemente da zone, etnie e religioni.
Inizialmente il termine globalizzazione aveva un'accezione positiva, infatti con
esso si intendeva il prevalere del modello liberal-democratico occidentale che
si diffondeva in tutto il mondo rendendolo finalmente unitario, omogeneo e
democratico. Ma non si tratta in realtà solamente di questo.
Omologazione dei costumi
Va infatti considerato un'altro fondamentale aspetto della globalizzazione, quello della
uniformizzazione. Ormai da tempo il mondo intero sta omologando i suoi costumi, stili
di vita, ma sopratutto la sua scienza e le sue arti tecniche ai modelli delle forze omologanti, chiaramente occidentali.
Latouche afferma che si tratta di una vera e propria "invasione culturale", un
processo che porta, partendo dal "Centro", all'omologazione delle culture,
producendo informazioni, inducendo consumi (come l'IKEA-mania vista in
Fight
Club), promuovendo modi di vivere
sempre più uniformi. Oggi come oggi è possibile trovare un cecchino serbo che
spara su civili a Sarajevo indossando scarpe Adidas e ascoltando l'ultimo disco
di Madonna sul
walkman, anziane siciliane che fanno e-business su Internet e altri fatti simili
pensabili solamente nell'era della globalizzazione. È il trionfo dei
modelli occidentali, di tutto ciò che proviene da Hollywood, Disney, MTV, è il trionfo del software Microsoft, del cibo McDonald's, delle bevande
Coca-Cola, dell'arredamento IKEA e così via.
Risvolti economiciAltra conseguenza diretta dell'azzeramento delle distanze è la creazione di un
mercato
globale di merci, capitali, informazioni e persone, man mano sempre più libero
(il cosiddetto fenomeno della deregulation). Anche il concetto di impresa viene sconvolto: essa subisce un
processo di deterritorializzazione, ovvero è composta da investitori provenienti
da ogni parte del mondo (non appartiene più ad un singolo individuo o Stato) e nel caso
particolare di un'industria il processo di fabbricazione
non si svolge nel paese di origine ma in Stati solitamente
sottosviluppati, dove il costo della manodopera è decisamente inferiore, ma i
lavoratori si trovano in una condizione di semi-schiavitù e viene ampliamente
praticato lo sfruttamento minorile.
La globalizzazione ha anche portato (o forse sarebbe meglio dire accentuato) diverse
disuguaglianze tra le varie parti del mondo a livello economico e di
qualità della vita: nei paesi ai quali le grandi aziende multinazionali affidano
la produzione, gli operai sono di frequente donne e bambini, spesso costretti a
sopravvivere, secondo alcune statistiche, con un dollaro al giorno o meno. Le
loro condizioni di vita sono disastrose: vivono stipati in
baraccopoli squallide e malsane, del tutto privi di ogni servizio minimo come
assicurazioni o qualsiasi altro tipo di assistenza. Il competitivo costo della manodopera in questi
paesi arreca problemi anche nelle aree del mondo più ricche, dove i lavoratori sono ormai
considerati troppo costosi e dunque si diffondono lavoro precario,
sottoccupazione e disoccupazione, problema molto attuale anche in Italia e
oggetto di interminabile discussione politica.
Gli attori della globalizzazioneIl mondo globalizzato si divide in due parti: quella di chi lo gestisce e vi partecipa
attivamente, coloro che sono veramente liberi, che "fissano le regole del gioco
della vita" (Bauman) e quello di chi lo subisce passivamente. Questi ultimi,
poiché non hanno i mezzi per relazionarsi con il mondo per cui non esiste
geografia, sono, sempre secondo Bauman, "inchiodati alla propria località"; la
conseguenza più diretta di questo fenomeno è la comparsa di neotribalismi e
fondamentalismi, "riflesso delle esperienze delle persone che si trovano sul
versante per così dire passivo della globalizzazione".
Ma chi sono dunque i protagonisti? Michael Hardt afferma che a capo dell'Impero
formato dalla globalizzazione vi sono le imprese multinazionali e le forze
economiche transnazionali: il potere dello Stato come lo si è sempre inteso via via si sta inesorabilmente indebolendo,
la teoria hegeliana della sovranità dello Stato diventa obsoleta per descrivere
l'era della
globalizzazione. Ulrich Beck sostiene che le imprese multinazionali stanno compiendo un "colpo di
Stato silenzioso" o "al rallentatore", con obiettivo lo "smantellare le
competenze e l'apparato dello Stato, cioè realizzare l'utopia
anarchico-mercantile dello Stato minimale".
Bauman in suo passo di "Dentro la globalizzazione" asserisce che nei secoli
passati gli Stati si appoggiavano su una triplice sovranità: economica,
militare e culturale; in
politica estera vi era una comune aspettativa che "ogni Stato si allineasse
nella reciproca difesa del diritto di ciascuno di essi a mantenere l'ordine".
Col bipolarismo le cose cominciarono a cambiare: Stati Uniti ed Unione Sovietica esercitavano sulle
proprie sfere di influenza una sorta di "meta-sovranità", poiché ognuno di
quegli stati era considerato insufficiente dal punto di vista economico,
militare e culturale. Già allora ci si avviava verso la via in cui i singoli
Stati perdono di importanza, e al loro posto chi deteneva realmente la sovranità vennero ad
essere gruppi di Stati, facendo così perdere l'autosufficienza militare,
economica e culturale ai singoli elementi da cui erano composti.
Allo Stato nazionale rimane solo il ruolo di controllo di polizia del territorio
e della popolazione, e in particolare perde ogni potere in campo economico in
quanto ogni movimento in quella direzione causerebbe una reazione punitiva del
mercato globale, al quale è quindi inevitabilmente sottomesso.
In conclusione lo Stato nella sua accezione tradizionale crolla, ma questo crollo è proprio causa di una
rivalutazione
dello stesso come vedremo tra poco.
È interessante notare come K. Marx, ne "Il Manifesto del Partito
Comunista", descriva, quasi profeticamente, gli
effetti della globalizzazione.
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Mondo globale e in frammentiIl mondo di oggi al contempo sottoposto ad un processo di globalizzazione e
frammentazione. Con frammentazione si indica il ritorno dei nazionalismi (che ricordiamo essere alla base dei maggiori regimi
totalitari del '900), dei particolarismi e del recupero o anche la creazione di
identità etniche. Questi nazionalismi si basano solitamente sulla religione,
come accade per gli odierni
fondamentalismi islamici, oppure sull'etnia, si
veda il lampante esempio italiano della Lega Nord, con i conseguenti razzismi,
xenofobie, e volontà secessionistiche. I fondamentalismi sono una risposta alla
fortissima secolarizzazione e perdita del senso del sacro del mondo
contemporaneo, spinta e promossa dalla globalizzazione.
Per quanto concerne il recupero dell'identità locale in svariate zone, il
significato è chiaro: combattere l'omologazione dei costumi, anche in questo
caso portata dalla
globalizzazione.
Le rette paralleleIl mondo odierno, per via dei paralleli fenomeni di globalizzazione e
frammentazione, è stato descritto dagli storici come "glocalizzato",
termine utilizzato
proprio per indicare il forte legame di causa-effetto o addirittura di complementarietà (anche
qui a dire di Bauman) che intercorre tra essi, nonostante la loro
sostanziale opposizione.
B. R.
Barber in "Guerra santa contro McMondo" propone due modelli di futuro basandosi
sulle due eternità teorizzate dal poeta W. B. Yeats: quella della razza, che
spinge a ritornare al tribalismo, e quella dello spirito, che anticipa un futuro
cosmopolita. Le ipotesi che propone per il prossimo svolgersi degli eventi sono entrambe funeste e ben poco
democratiche.
Nel primo caso Barber ipotizza una ritribalizzazione dell'umanità, in
cui una cultura o una tribù vengono aizzate l'una contro l'altra in nome di
infinite fedi (religiose ma non solo) diverse. Ma ancora prima di arrivare a
scontrarsi tra loro, queste culture combatteranno strenuamente ogni
interdipendenza, ogni tecnologia, ogni mercato integrato, insomma ogni e
qualunque forma di globalizzazione, spazzando via effetti positivi e negativi.
Il secondo scenario che descrivere Barber è invece il McMondo, un mondo che
richiede uniformità e integrazione, globale, omogeneo, tenuto insieme dal
bisogno di comunicazione, divertimento, commercio e informazione. Un mondo dove
multinazionali come MTV, Macintosh e McDonald's detengo i monopoli sui vari
ambiti della vita: musica, lavoro, svago, cibo, vestiti e quant'altro.
La somma di queste due immagini dipinge una realtà "intrappolata fra Babele e
Disneyland", non certamente una buona aspettativa.
Cinque ipotesi interpretative dell'oggi e del domaniIn questa ottica di frammentazione e globalizzazione analizziamo i cinque
modelli interpretativi proposti da F. Tuccari (che a sua volta riprende Samuel P.
Huntington) della realtà odierna.
Secondo una prima interpretazione, quella del "mondo ad una dimensione", l'unico
fenomeno che veramente detta le regole della politica mondiale di questo periodo
è la globalizzazione: la frammentazione non è nient'altro che un anacronistico
tentativo di fermare l'omologazione ormai avanzata e inarrestabile. In questa
visione i particolarismi risultano quindi assai secondari. L'Occidentalizzazione
tende a portare democrazia e pace su tutto il pianeta, ma al contempo
sradica le varie culture locali e accresce grandemente il già incolmabile
divario tra paesi ricchi e paesi poveri.
Francis Fukuyama diede un'armoniosa interpretazione di questo fenomeno,
definendola la "fine della storia", ovvero la fine dell'evoluzione ideologica
dell'umanità. In seguito all'omologazione ai valori Occidentali, in primis la
democrazia, Fukuyama prevedeva una pace mondiale (fatta eccezione per qualche
paese del Terzo Mondo): niente più guerre ideologiche, le uniche questioni da
risolvere sarebbero state di carattere tecnico o economico.
Samuel P. Huntington muove una
forte critica a questo modello, affermando prima di tutto che quella di Fukuyama è una
reazione classicamente da dopo-guerra: la Prima guerra mondiale avrebbe dovuto
porre fine alle guerre e preparare alla diffusione delle democrazie, la Seconda secondo Roosvelt
avrebbe portato ad una "struttura di pace permanente" sostenuta da "Stati
amanti della pace". Oggi, finita la guerra fredda Fukuyama propone aspettative
assai simili, ma come ben sappiamo la Prima guerra mondiale generò fascismo,
comunismo e nazismo, invertendo la secolare tendenza alla democrazie, mentre il
Secondo conflitto mondiale partorì la Guerra Fredda. Se ci avviciniamo di più alla
nostra epoca, prestando attenzione ai fatti avvenuti dopo il 1989 parole come
"genocidio" e "pulizia etnica" sovvengono alla mente molto più
frequentemente di quanto non
accadrebbe pensando a tutti i lustri della Guerra fredda. Dunque il modello di Fukuyama risulta ben poco adatto a descrivere l'attuale e futura situazione
politica mondiale, anche se invita a riflettere.
Una seconda visione, ancora più catastrofica, è quella di un anarchico mondo a
n-dimensioni. Chi sostiene questa teoria si basa sugli odierni inarrestabili
fenomeni di balcanizzazione (ovvero la riduzione di uno stato nelle
condizioni di disordine interno ed esterno caratteristiche degli stati balcanici),
frammentazione e moltiplicazione delle guerre, sia
interstatali ma anche a livello etnico, tribale, nazionale e religioso. Oggi
armi di distruzione di massa (nucleari, chimiche e batteriologiche)
sono sempre più diffuse e non più solamente in mano di Stati ma bensì
anche di singoli individui.
Un terzo modello interpretativo è quello fondato sulle differenze tra il Nord
e il Sud e il pianeta. In questo caso non vi sono contrapposizioni ideologiche o
politiche ma soltanto differenze di ricchezza: il Nord e formato da "città"
detentrici di enormi ricchezze e "campagne" in uno stato di arretratezza
fortissima e in preda a malattie devastanti. Una delle conseguenze di queste
disparità sono i fortissimi flussi migratori Sud-Nord che fomentano xenofobie,
razzismi ma favoriscono anche fondamentalismi, terrorismo a livello
internazionale e criminalità organizzata.
La quarta interpretazione vede invece un mondo diviso in base alle varie
culture, tesi sostenuta in particolare da Huntington in "Lo
scontro delle civilità". L'autore in questo libro divide il mondo in otto regioni
in base alla cultura che le caratterizza: sinica, occidentale, ortodossa,
islamica, induista, giapponese, latino-americana e africana. Le culture
non-occidentali in particolare acquistano importanza, in quanto in questo periodo
iniziano a rifiutare la corrispondenza tra modernizzazione e assimilazione dei
valori occidentali. In queste otto aree vi sono "Stati guida" e "Stati membri"
la cui unione porta ad un'unificazione culturale. Questi saranno i protagonisti
delle nuove guerre, la cui causa è identificata da Huntington nella triade della
"arroganza occidentale", della "intolleranza islamica" e della "intraprendenza sinica".
I conflitti saranno di due tipi: a livello regionale e globale.
Quelli regionali vengono definiti "conflitti di faglia", tra Stati
confinanti, tra etnie che convivono in una stessa nazione o tra civiltà che
tentano di creare Stati su macerie di vecchi. Le guerre a livello globale invece
saranno combattute dagli "Stati guida". Due ipotesi rispettivamente del primo e
del secondo tipo di conflitto sono tra musulmani e non-musulmani e tra Cina (che
l'autore arriva a ipotizzare addirittura come "protagonista assoluta della
storia") e coloro
che stanno subendo forti svantaggi a causa della sua inarrestabile avanzata economica.
Nonostante la sua visione molto conflittuale, Huntington, non prevede una fine
catastrofica: se nei prossimi anni gli Stati guida non si intrometteranno nelle
guerre a livello regionale delle altre aree e tenteranno di placare quelle
all'interno delle loro zone di influenza si eviteranno disastrose guerre di
proporzioni inimmaginabili. In particolare, sottolinea Tuccari,
l'Occidente dovrà rinunciare ad agire come potenza globale.
È necessario però fare una nota al concetto di "scontro di civiltà" espresso
nell'omonimo libro: tutte le guerre che l'autore cita (anche quella che ipotizza
per il 2010) non hanno in realtà come causa la diversità di culture, ma sono
invece tradizionali guerre di potenza e interessi; il concetto di scontro
tra civiltà va comunque tenuto presente poiché gli Stati guida potrebbero con
buone probabilità utilizzarlo come scusante per dare il via ad un conflitto.
Il quinto e ultimo modello qui riportato tratta del nazionalismo. Secondo Nicole Janigro è in corso "un'esplosione delle nazioni" (nel suo libro tratta in
particolare di quanto accaduto in Jugoslavia ma sottolinea che questo
fenomeno è di portata mondiale).
Sul ritorno del nazionalismo gli studiosi hanno sviluppato pareri diversi,
riportiamo i tre che A. D. Smith ha riassunto in "Nazioni e nazionalismi
nell'era globale".
La prima visione vede questi nazionalismi come "epigoni dei loro illustri
predecessori" (vedi comunismo, nazismo e altri) ma anche relitti di un'altra
epoca, quindi destinati a scomparire presto, investiti dal travolgente processo
di globalizzazione.
La seconda soluzione vede il sentimento nazionale come inevitabile nella
modernità, in quanto essa ha portato uno sconvolgimento nella vita umana
paragonabile solamente a quella della nascita dell'agricoltura sedentaria nel
neolitico: rivoluzione industriale, capitalismo, mobilitazione sociale di massa,
scienza, razionalismo, crollo dei valori della famiglia tradizionale, guerra
totale, informazione digitale e rivoluzione sessuale hanno rivoluzionato la vita
di ogni singolo individuo del nostro pianeta. Le conseguenze sono pressoché
ovvie: l'uomo, non avvezzo a questi costumi di vita, si trova spaesato e dunque
le nazioni e i nazionalismi diventano indispensabili, forniscono "gli unici
sistemi comunitari e di credenze potenti e su larga scala in grado di assicurare
un minimo di coesione sociale, di ordine e di senso in questo mondo alienante e
disgregativo". Da questo punto di vista, i nazionalismi continueranno ad esserci
fino a quando non sarà completato il processo della dolorosa transizione verso
una "modernità stabile e ricca" sul modello occidentale.
L'ultima tesi riportata è quelle che sostiene la perennità del nazionalismo e
che prevede per i prossimi anni la fine dell'età moderna e post-moderna ma non
dei nazionalismi che "continueranno a costituire il fondamento della società
umana".
In tutti e tre i casi il risultato è un mondo molteplice e tendenzialmente
conflittuale, come insegna la storia dei vari nazionalismi del XX secolo. Vale
però la pena ricordare le previsioni/speranze di Mazzini a riguardo di uno
sviluppo libero, pacifico e armonioso delle varie nazioni.
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