- Il suicidio nel Cristianesimo -
 

Ritratto di John Calvin
 
Il Cristianesimo e la condanna del suicidio

Il cristianesimo, sin dall'inizio della sua storia, si è sempre schierato contro il suicidio. La dottrina cristiana considera il suicida un carnefice di se stesso, in nulla e per nulla differente da un assassino. Il sesto comandamento si riferisce quindi tanto ai propri fratelli quanto a se stessi. Il suicidio è, come afferma S. Agostino e la Patristica, una atto di violazione della legge divina da parte dell'uomo. Non è più interpretato come un'espressione di libertà umana, ma come un'offesa verso il Dio che ci ha creati: Egli ci ha creati, a Lui appartiene la nostra vita e solo Lui potrà riprenderla, quando lo reputerà opportuno. Uccidere se stessi significa quindi assumersi una libertà su cui non si ha diritto, gettare un bene che non ci appartiene, un dono fattoci per essere conservato e fatto fruttare, come espresso nella Parabola dei Talenti. Inoltre il suicidio può esser ritenuto un gesto ancor più grave considerando che, secondo il punto di vista arminiano, il fulcro della salvezza dell'uomo è il pentimento: ogni peccato deve essere confessato prima della morte. Il suicida non può pentirsi del proprio gesto in quanto nel momento in cui lo compirà, egli naturalmente sarà morto.

Ovviamente tale concezione è diametralmente opposta al punto di vista della Chiesa Calvinista, convinta del fatto che solo la grazia divina possa salvare gli uomini dalla dannazione, e non le azioni di questi ultimi, tanto superbi da credere di poter "comprare" il paradiso con le loro sole forze. Preso come assunto questo punto, fermo restando che il suicidio è in ogni caso peccato, uno dei tanti commessi dagli uomini, il fatto che un cristiano si uccida non dovrebbe influire sulla salvezza della sua anima più di quanto influisca un qualunque altro peccato. Da notare il termine utilizzato nella frase precedente: il termine cristiano intende proprio porre l'accento su come solo un vero cristiano possa sperare nella redenzione di tutti i peccati, quella compiuta da Cristo, e quindi anche della morte autoinfertasi; solo chi possiede veramente la fede in Dio e ha seguito gli insegnamenti della Chiesa può sperare nel perdono; il suicida non credente è condannato. Qualcuno potrebbe obiettare che un vero cristiano non potrebbe arrivare ad attuare il suicidio. Ma poniamo il caso che un uomo dalla fede sincera e dalla buona condotta, in un momento di debolezza, decida di compiere l'estremo gesto. Secondo quanto detto in precedenza egli sarà perdonato dal Salvatore, tuttavia ciò non vuol dire che Dio sarà favorevole alla sua condotta.

Facendo un salto in avanti lungo la linea del tempo, giungendo fino all'epoca romantica, possiamo notare come il modificarsi del rapporto degli intellettuali con la religione, e più in generale con la sfera del divino, si rifletta anche nei loro pensieri riguardanti il suicidio. Un esempio di questo rinnovamento è la riflessione che Giacomo Leopardi compie su tale argomento.

 

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