- Il suicidio nel pensiero di Leopardi - |
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Leopardi e il pessimismo esistenziale | ||
Il metodo di scrittura di Leopardi è quello dell'indagine filosofica. Il centro della sua meditazione è l'infelicità umana e la ricerca delle sue cause, che lo portano ad attraversare diverse fasi di pensiero. La prima fase del pensiero leopardiano viene denominata fase del Pessimismo Storico. Leopardi afferma che la Natura è la nostra madre benigna, che ci ha donato le illusioni e l'immaginazione allo scopo di renderci felici, o perlomeno farcelo credere, e capaci di azioni virtuose. Quindi crede che l'infelicità umana non sia d'origine ontologica, bensì storica: l'uomo primitivo non conosceva infelicità poiché viveva in stretto contatto con la Natura, che in cambio gli donava le illusioni. Ma queste ultime sono state distrutte dalla ragione e dalla civiltà dell'uomo moderno, che creano bisogni ulteriori che la Natura non è più in grado di appagare e, in definitiva, rendono l'uomo infelice. La storia umana è una storia non di progresso, ma di decadenza, un percorso che parte da un'inconscia felicità naturale per giungere, nell'età della ragione, ad un dolore consapevole e immutabile. È evidente come la Teoria delle Illusioni, su cui si basa l'intera fase del Pessimismo Storico, si ricolleghi tanto alle illusioni foscoliane quanto alla spiegazione che Rousseau ci dà riguardo le cause dell'infelicità umana, sintetizzabile nel Mito del Buon Selvaggio: "Ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle Cose; ogni cosa degenera nelle mani dell'uomo" [6]. Successivamente, dal 1819, questo sistema entra in crisi: l'abbandono del cattolicesimo per il sensismo illuminista, il fallimento dei Moti Carbonari, l'esperienza negativa del suo soggiorno a Roma ("Che cosa volete sapere dei fatti miei? Se Roma mi piace, se mi diverto, dove sono stato, che vita faccio? Quanto alla prima domanda, non so più che rispondere, perché tutti mi domandono la stessa cosa cento volte al giorno, e volendo sempre variare nella risposta, ho consumato il frasario, e i Sinonimi del Rabbi. Parlando sul serio, tenete per certissimo che il più stolido Recanatese ha una maggior dose di buon senso che il più savio e più grave Romano" [7]); tutto ciò contribuì a cementare nella mente del poeta la convinzione che la felicità non possa trovarsi in alcun luogo. Prese corpo così la Teoria del Piacere: l'infelicità umana nascerebbe dal rapporto tra i bisogni dell'individuo e l'impossibilità del loro soddisfacimento. È, infatti, quello dell'uomo un desiderio illimitato, una ricerca di piacere infinito, quantitativamente e temporalmente. È questa una teoria ben più pessimistica della prima, in quanto prevede che il dolore umano non sia una condizione occasionale, bensì costante. In questa seconda fase, la fase del Pessimismo Psicologico, Leopardi ridefinisce anche il concetto di Natura: viene in altre parole trasformata in un meccanismo che non mira al bene dei singoli, ma alla conservazione della specie. La Natura non si cura dell'uomo, a cui ha donato il desiderio di felicità infinita ma non i mezzi per ottenerla. Tuttavia Leopardi evidenzia anche l'idea secondo cui non sia la Natura la fonte di ogni dolore umano, quanto piuttosto il Fato. Idea questa che viene abbandonata durante l'ultima fase, quella del Pessimismo Cosmico, durante la quale il poeta fa ricadere sulla Natura tutte le colpe dell'infelicità umana, anche di quello primitivo, e di tutte le altre creature. La ragione, che differenzia gli uomini dagli animali, ha una funzione positiva: attraverso essa l'uomo ha scoperto la propria situazione e ritrovato così la sua dignità. Ma la ragione è anche la distruttrice delle illusioni, colei che ha reso gli uomini deboli e consapevoli del "taedium vitae", creando una società basata sulla lotta sociale di tutti contro tutti. Tuttavia proprio in questo periodo cominciano ad avvertirsi in Leopardi le prime avvisaglie di quel cambiamento nel modo di avvertire il gesto del suicidio che sarà ampliato e completato nel 1827: precedentemente Leopardi aveva sostenuto la legittimità del suicidio, in quanto unica possibilità di sottrarsi al dolore della vita. Ma già nel Bruto Minore (1821) e nell'Ultimo Canto di Saffo (1824), appartenenti alle Operette Morali, si può notare, accanto al precedente sostegno del suicidio, diverse affermazioni riguardanti il dovere degli uomini di affrontare la vita con forza d'animo e di renderla sopportabile attraverso l'immaginazione che c'è stata donata. Infine nel 1827 Leopardi trova una soluzione al problema della lotta
sociale: valorizza cioè il momento sociale dell'esperienza umana. Nel
Dialogo di Plotino e Porfirio immagina una diatriba tra i due filosofi
riguardo alla legittimità del suicidio. Plotino, una rappresentazione
dell'autore più giovane, sostiene che se la Natura destina gli uomini al
dolore, se tutto ciò che esiste è male, l'uomo ha diritto di sottrarvisi,
scegliendo la morte volontaria. Porfirio, figura del Leopardi più
maturo, d'altro canto risponde affermando che nonostante l'uomo sia
destinato al dolore, d'altro canto un dovere morale gli impone di
continuare a vivere e, attraverso l'uso della ragione, denunciare il
male della Natura agli altri uomini e allearsi con essi per combatterlo.
Alleandosi e combattendo per ridurre il dolore dalle loro vite, tutti
gli uomini diventano delle sorte di eroi, e proprio in questo consiste
la democraticità del pensiero leopardiano. Il suicidio dunque, sebbene
sia una soluzione ragionevole e utile, non è ammissibile, è "(...) la
cosa più mostruosa in natura" [8], in quanto gesto egoistico di
diserzione, che elimina il dolore da chi lo compie, ma lo porta a chi
gli sopravvive. |
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