- Il suicidio nel pensiero di Schopenhauer - |
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Schopenhauer e la volontà di vivere | ||
Gli scritti di Schopenahuer presentano molti punti di contatto con il pensiero di Leopardi, nonostante riguardo al tema del suicidio abbiano posizioni del tutto opposte. Grande influsso su di lui ebbero Kant, il pensiero illuminista e quello romantico, nonché la tradizione filosofico-religiosa dell'India. Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione tra fenomeno e cosa in sé, ma in un'ottica differente da quella kantiana: mentre per Kant il fenomeno è l'unica realtà pensabile dalla mente umana, e il noumeno è un concetto-limite che ci ricorda i limiti della conoscenza, per Schopenauer il fenomeno è invece un'illusione, un sogno (il Velo di Maya indiano), mentre il noumeno è la realtà, che si nasconde dietro la parvenza ingannevole costituita dal fenomeno. A differenza del Criticismo, secondo cui il fenomeno è l'oggetto della rappresentazione esistente fuori dalla coscienza, questo fenomeno è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza e consta quindi di due parti inseparabili: un soggetto rappresentante e un oggetto rappresentato. Ma al di là di questa rappresentazione esiste la vera realtà, sulla quale l'uomo, seguendo la sua natura di "animale metafisico", non può fare a meno di interrogarsi. L'uomo, infatti, secondo il filosofo, a differenza degli altri animali non può che stupirsi della sua esistenza e delle radici di quest'ultima. E questo accade in proporzione all'intelligenza e all'esperienza del dolore da lui provata lungo il corso della sua vita: "Quanto più in basso si trova l'uomo nella scala intellettuale, tanto meno misteriosa gli appare la stessa esistenza: gli sembra piuttosto che il tutto si comprenda da sé (...). Al contrario la meraviglia filosofica (...) è condizionata da uno svolgimento superiore dell'intelligenza, ma non da questo soltanto: senza dubbio è anche la conoscenza della morte, e con essa la considerazione del dolore e della miseria della vita, ciò che dà il più forte impulso alla riflessione filosofica e alle spiegazioni metafisiche del mondo. Se la nostra vita fosse senza fine e senza dolore, forse non verrebbe in mente a nessuno di chiedersi perché il mondo esista e perché sia fatto così com'è fatto (...)" [9]. Secondo l'autore noi uomini, infatti, non siamo interamente rappresentazione, ma anche corpo, e proprio grazie ad esso non ci limitiamo ad osservarci dall'esterno, ma anche a viverci interiormente attraverso le nostre sensazioni: è questa esperienza che permette all'uomo di strappare il velo del fenomeno e afferrare la cosa in sé, la "Volontà di vivere" (Wille zum leben), l'impulso potente che spinge ogni essere ad esistere e a perpetrare la propria esistenza. La Volontà di vivere è una forza senza causa né scopo che permea tutto l'universo, sebbene con differenti gradi di consapevolezza secondo le forme di vita in cui si manifesta. Nell'uomo la Volontà è pienamente cosciente, e questo rende la sua vita estremamente drammatica poiché, come scrive il filosofo in una sua opera, "Tutti gli uomini vogliono vivere, ma nessuno sa perché vive" [10]. Una simile consapevolezza rende il desiderio degli uomini più lacerante e insaziabile, lo porta a vivere in uno stato di continuo inappagamento, in cui ad ogni desiderio soddisfatto si sostituiscono una miriade di altri inappagati. Affermare ciò equivale a dire che la vita è dolore per essenza. Infatti desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione derivante dalla mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Il desiderio risulta quindi assenza, indigenza, in altre parole dolore. Il pensiero di Schopenhauer è per questo motivo definito un pessimismo cosmico. E proprio in questo risiede il punto di contatto tra Schopenhauer e Leopardi: come afferma anche il poeta recanatese in "La quiete dopo la tempesta", il piacere segue sempre uno stato di forte tensione e di dolore. Ogni piacere nasce solo come cessazione di uno stato di tensione, dunque nasce dopo un dolore. Non è così per il dolore: l'uomo sperimenta infiniti dolori che non sono preceduti da altrettanti piaceri. Vi è poi un altro stato di cui l'uomo può fare esperienza, la noia, riconducibile al tedio leopardiano, che subentra nei momenti in cui la tensione e il desiderio vengono meno. Schopenhauer afferma che "La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia" [11]. Il filosofo di Danzica scrive che la vita, in virtù del dolore che la costituisce, è quella cosa che ognuno impara poco alla volta a non volere. Questo potrebbe farci apparire la sua filosofia come una forte legittimazione del suicidio, ma non è così. Egli rifiuta e condanna fermamente il suicidio per due motivi:
Queste argomentazioni possono essere sintetizzate nella citazione
dell'autore stesso, "Il suicida è uno che, anziché cessar di vivere,
sopprime solo la manifestazione di questa volontà: egli non ha
rinunciato alla volontà di vita, ma solo alla vita" [12]. La soluzione
di Schopenhauer al problema della vita è dunque un'altra: liberarsi
dalla stessa Volontà di vivere. Schopenhauer contrappone alla voluntas,
la forza che spinge ogni essere, la noluntas, cioè la negazione della
stessa, che può esser raggiunta attraverso un percorso di liberazione
articolato in tre tappe: Arte, Etica e Ascesi.
Nonostante la morale della pietà preveda una vittoria sull'egoismo, essa implica un impegno attivo nel mondo, rimanendo di conseguenza sempre all'interno della vita e collegata ad essa. Per questo Schopenhauer compie un altro passo avanti e si propone il traguardo di una liberazione totale dalla Volontà di vivere. Questa liberazione è l'Ascesi. Con questo termine Schopenhauer
intende esprimere l'esperienza grazie alla quale l'individuo si propone
di estirpare il proprio desiderio di esistere, godere e volere.
Attraverso la mortificazione, la ricerca dello spiacevole e l'astensione
dal piacevole, il filosofo si propone di infrangere la Volontà che
incatena il genere umano ad un'esistenza dolorosa: la coscienza del
dolore come essenza della realtà è capace di vincere le tendenze
naturali dell'individuo e di elevarlo al di sopra di questa schiavitù
del desiderio. L'uomo in questo modo diviene libero e può aspirare a
raggiungere il Nirvana, l'esperienza del nulla. Un nulla che non è il
vuoto, l'assenza, bensì un nulla relativo al mondo, la negazione di
esso. Di conseguenza per coloro la cui Volontà, che nel mondo è tutto, è
stata completamente estirpata il Nirvana rappresenta un tutto, un oceano
di pace e serenità. "Noi vogliamo piuttosto liberamente dichiarare: quel
che rimane dopo la soppressione completa della volontà è invero, per
tutti coloro che delle volontà ancora son pieni, il nulla. Ma viceversa
per gli altri, in cui la volontà si è rivolta da se stessa e rinnegata,
questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi soli e le sue vie
lattee, è – il nulla" [14]. |
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