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Capita di frequente di sentire figure di un certo rilievo, figure istituzionali come il Presidente della Repubblica, parlare di legalità, associando a questo termine locuzioni come "principio" o "valore", come qualcosa che, nello specifico, se non insegnato ai giovani porta al dilagare della violenza e della criminalità, anche di stampo mafioso. Sono certamente belle parole, che si addicono a figure di grande importanza formale, ma se osserviamo da vicino il loro contenuto, risultano essere così veritiere?
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%> Un principio, un valore, deve essere qualcosa che permetta in casi di dubbio di discernere il giusto dallo sbagliato, qualcosa di fondamentale e certo, in cui poter avere cieca fiducia. Un principio è qualcosa di stabile, che sta alla base di un sistema (fisico, politico o altro), da cui tutto poi discende. Esistono poi certamente principi totalmente negativi, "principi del male" potremmo definirli, ma non è questo il caso. Un valore invece è un punto di riferimento nella vita di un uomo che detta tutti i suoi comportamenti, ed è un criterio nell'operare le proprie scelte.
Indubbiamente valori e principi sono forse quanto di più importante un giovane possa e debba apprendere, e in questo lo Stato fa bene a fare la sua parte, anche se inevitabilmente l'impronta maggiore la lascia sempre la famiglia, ma non perdiamoci nei soliti vuoti discorsi di attribuzione di responsabilità. Pace, rispetto del diverso, non-violenza e molto altro ancora possiamo elencare tra i valori ai quali le istituzioni farebbero bene a tentare di educare i giovani, nel senso latino, di "edurre", tirare fuori.
Ma la "legalità"? Si può edurre? Può davvero essere un principio? Guardiamo da vicino questo oggetto, la legge. La legge è qualcosa che certamente non avrebbe senso di esistere se si vivesse da soli, isolati, si tratta di qualcosa nata per poter convivere in una società organizzata, non è di per sé indispensabile.
La legge deve tendere a garantire una pari libertà a tutti (criterio base della giustizia), sostanzialmente limitando le libertà del singolo. È una dura necessità, assolutamente indispensabile per vivere insieme. Tuttavia, come ogni e qualsiasi creazione umana, anche la legge, è fallibile. Durante il XIX e il XX secolo l'uomo si è illuso di aver creato qualcosa di vero, solido e stabile grazie alla scienza, ed era arrivato persino a tentare di fare della politica una scienza (in particolare con il socialismo scientifico di Engels, "L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza", 1880), ma questa fiducia è caduta ben presto insieme al pensiero positivista. Aveva ragione Karl Popper nel dire non va progettato uno sistema politico perfetto, ma perfettibile: uno Stato sempre conscio della sua fallibilità e sempre in tensione verso un miglioramento progressivo. La fallibilità dello Stato, e quindi della legge, dovrebbe essere il fondamento di un sistema democratico.
Se considerassimo la legge come un valore, come qualcosa da rispettare incondizionatamente, che cosa dovremmo fare se essa fosse dettata da un sistema razzista ad esempio? Se ci trovassimo nella Russia zarista dei pogrom, nella Germania nazista delle camere a gas, nel Sud Africa dell'apartheid o nel Ventennio fascista della soppressione delle libertà dell'individuo? Ma senza ricorrere a regimi dittatoriali, si pensi alla segregazione razziale nei democraticissimi Stati Uniti d'America, durata fino agli anni Sessanta.
Razzismo e soppressione delle libertà fondamentali dell'individuo, sono solo alcuni esempi delle nefandezze che l'uomo nel corso della sua storia ha avuto il coraggio di imporre come legge. E in una visione dove la legge è un "principio" cosa accadrebbe? Inazione o adesione. Il nazismo non è stata una follia di un intero popolo: come insegna Hannah Arendt (La banalità del male - Eichmann a Gerusalemme, 1963), il male da esso generato è insito in ognuno di noi, nel profondo, e può uscire molto facilmente, tanto più se giustificato da un ordine di una figura autorevole, o dalla legge stessa.
A questo proposito gli esperimenti di Stanley Milgram possono essere un ottimo esempio. Questo noto scienziato nel 1961 riunì un gruppo di volontari per effettuare dei test consistenti nel punire un individuo con una scossa elettrica ogni volta che commetteva un errore nel rispondere ad un quesito. Le regole prevedevano anche scariche letali. Se il soggetto si rifiutava di procedere nell'applicazione della pena veniva incitato 4 volte in maniera progressivamente più intensa. La presenza di queste regole, spinse il 65% dei soggetti ad applicare una punizione mortale.
Può dunque essere la legge un principio da insegnare ai giovani? Può essere un valore la totale e incondizionata sottomissione all'autorità? O bisognerebbe forse insegnare loro a pensare con la propria testa, a contestare ciò che ritengono ingiusto e se necessario anche a non rispettarlo deliberatamente? La legalità non è qualcosa a cui si può educare, è solo qualcosa che si può imporre. È il senso di giustizia che si può educare invece.
Ma torniamo a terra, senza pensare a violenza, razzismo o altro, cose che probabilmente oggi (erroneamente) sentiamo lontane dalla situazione attuale. Nelle grandi questioni come nelle piccole, però, il concetto è lo stesso. Quante volte ci è capitato, come nella canzone "Il bandito e il campione" (Francesco De Gregori, 1993), di cercare giustizia ma di trovare la legge? Quante contraddizioni, incoerenze, cavillosità ogni giorno incontriamo nella legge? Come si può poi chiedere di avere fiducia nella legge, come fosse un valore, un principio? Impossibile.
E questo è vero in Italia in particolare, dove vale senza dubbio la massima attribuita a Tacito: "corruptissima re publica plurimae leges" ovvero "moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto". Forse la Costituzione può essere vista come qualcosa in cui credere, seppur non ciecamente, poiché si tratta sempre di una misera creazione umana, ma è il cuore del contratto stipulato tra i cittadini, la parte fondamentale e meno mutabile, stesa ai tempi in cui è nata la Repubblica e in cui la politica era qualcosa di serio e di importante, strumento di un popolo liberato dall'oppressione per rivendicare le proprie libertà, i propri diritti e i propri doveri.
La legge non è un principio, è qualcosa da accettare nella sua imperfezione, come una dura necessità, ma con l'obiettivo di migliorarla quanto più possibile. Se una legge non è giusta, o non la si ritiene tale, bisogna fare quanto possibile per tentare di cambiarla e frattanto se lo si ritiene davvero necessario, anche infrangerla, assumendosi i rischi che ne possono conseguire. Tuttavia questo non significa semplicemente essere legittimati a infrangere le regole che ci infastidiscono ma, bensì, ignorarle come misura temporanea in attesa di essere in grado o riuscire a fare qualcosa per cambiare la situazione.
Il cuore della questione è proprio questo: fortunatamente viviamo in una democrazia (con tutti i suoi limiti e difetti) e abbiamo la possibilità di cambiare le cose, noi, in prima persona. Tuttavia troppo spesso lasciamo perdere per pigrizia o disinteresse. La democrazia è un sistema che se mal gestito (e la responsabilità compete ad ogni singolo cittadino) rischia di permettere la lenta soppressione delle libertà dell'individuo, poiché raramente si verificano bruschi cambiamenti che possono generare un malcontento diffuso tale da far nascere un'iniziativa popolare sufficientemente forte da cambiare le cose.
Dunque? Qual è la strada da percorrere ? Rispettare le leggi che riteniamo giuste, infrangere quelle che recano un serio danno a noi o ad altri, ma solo in maniera subordinata ad una seria azione per combatterle tramite il voto ed una corretta informazione.
Ma torniamo ora al principio dell'argomento: perché è sbagliato insegnare ai giovani la legge come un valore? Perché prima di tutto la legge sbaglia. In secondo luogo, perché, dove la legge sta nel giusto, c'è un motivo ed è questa ragione che bisogna far comprendere ai ragazzi, tentare di imporre la norma non è sufficiente.
Sono i tre semplici stadi della maturità di un individuo: il primo è quello dell'egoismo dove non si rispetta alcuna regola e si mira solo al proprio interesse, il secondo è quello in cui si rispetta le regole in quanto tali o per paura della punizione e infine vi è quello in cui si riflette sul perché di una regola e lo interiorizza in alternativa si è in grado di contestarla. La prima fase dovrebbe essere sorpassata da tutti con il sopraggiungere dell'età adulta, ma comunque è molto poco pericolosa in quanto si presenta in maniera episodica ed esplosiva, quindi facilmente individuabile e sopprimibile. La terza fase è quella che ognuno dovrebbe tentare di raggiungere per poter esercitare al massimo la propria libertà e essere in grado di vivere in società anche quando non vi è più una punizione. La seconda fase è invece la più subdola e pericolosa, perché porta a non riflettere sul perché di una regola e rende quindi il soggetto facilmente manovrabile, o dall'altro lato, fuori controllo quando non vi è più possibilità di applicare la pena. Per chiarire meglio il concetto è classico l'esempio del pagare le tasse: c'è chi non paga le tasse semplicemente sperando di non essere scoperto, c'è chi le paga perché tema una punizione da parte dell'autorità oppure perché regole in quanto tale e infine vi è colui che ha compreso che versare tributi allo Stato è indispensabile per il suo corretto mantenimento.
Pensiamo ora cosa accade se per un motivo dovesse venire a mancare la possibilità di effettuare controlli, la seconda categoria di persone smetterebbe immediatamente di pagare le tasse e lo Stato si troverebbe immediatamente allo scatafascio.
Per queste ragioni bisogna portare i giovani, quanto più possibile, al terzo stadio, questo dovrebbe essere il vero obiettivo dell'istituzione scolastica, ancor più che la semplice istruzione. Creare degli automi sottomessi alle regole non servirà a combattere il razzismo o le organizzazioni di stampo mafioso, educare delle persone a comprendere e a valori ben più generali ed elevati delle singole tortuosità legali invece sì.
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