Riflessioni
E' la prima volta che compare il bambino Charlie, alter ego dell'artista. Presentato
sempre di spalle, rivolto verso la finestra, il manichino, con le mani
appoggiate al banco e trafitte dalle matite, sembra un bambino vero. Porta i
jeans e la felpa col cappuccio. (Il banco di scuola è proprio il nostro, quello
classico in metallo col ripiano verde e la sedia con seduta in legno, in
frassino chiaro, che ha imperato per decenni ed in cui riconosciamo i nostri
giorni d'infanzia.) Il titolo viene dal film "Apocalypse now", dove gli
americani, che chiamavano Charlie i Viet Cong, prendono una postazione per andare
a surfare e si dicono strafottenti, che non c'è pericolo, perché "Charlie don't
surf". Charlie è plurale, come il nemico, generico e collettivo: in questo senso
moltiplica i significati inquietanti e dolorosi dell'opera. Per inciso, Cattelan,
che ha sempre vissuto come una punizione dover andare a scuola e che è stato
ripetutamente bocciato, in seconda elementare aveva trafitto un compagno di
banco con la biro. (F. Bonazzoli) Il disagio del bambino è dentro il sistema, è
uno dei disagi del sistema. Cattelan non accenna ad un punto di fuga, né ad
intuire vie di uscita.
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