- L'America di oggi, dopo il 9/11- |
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INTRODUZIONE | ||
Viviamo nei primi anni del nuovo millennio, studiamo la storia a scuola, analizziamo avvenimenti che hanno fondato le basi dell'odierna società... la nostra società. Eppure ci sembra di non aver abbastanza tempo per affrontare con serietà degli argomenti che ci aiutino a comprendere come siamo arrivati ad oggi. Perché ci crediamo così "invincibili e forti" in mezzo agli altri?? E perché, se lo siamo davvero, necessitiamo di un iPod nelle orecchie piuttosto che una illustre firma di un qualsiasi stilista "appiccicata al fondoschiena" per sentirci amati e all'altezza della situazione?? Forse c'è un problema di fondo, o forse più di uno. E probabilmente fermandoci un momento a riflettere, attività sempre più difficile da conciliare con la vita frenetica a cui si è costretti e che a noi fa comodo accettare, potremmo costruire delle ipotesi verosimili al riguardo. Di certo non le troveremo ascoltando l'ultimo gossip alla televisione o inserendo un fantastico film d'avventura nel lettore dvd di casa......perché??! Perché la realtà non si scopre com'è e come viverla scappando da essa. Studiamo le lotte d'indipendenza americane del Settecento e identifichiamo l'America come un paese unito ed invincibile, assistiamo agli show televisivi e riconosciamo nel Nuovo Mondo una fonte di potere, gloria, ricchezza economica e quant'altro, e tuttavia siamo pronti a denigrarla di fronte alla guerra in Iraq, alle innumerevoli morti di questi ultimi anni e alla paura del terrorismo che la sua politica mondiale (ma secondo molti si dovrebbe dire "imperiale") ha certamente (ma solo in parte) contribuito a diffondere. Ma ultimamente la realtà ha preso una piega differente. L'11 settembre ha portato scompiglio in tutto il mondo e quel che è peggio è che spesso sembra che perfino la natura (posto che il concetto di 'natura' non sia ormai un concetto ampiamente metafisico, non potendosi più distinguere facilmente tra gli apporti tecnologici e le spontaneità dell'esistere: una azienda agricola, per intenderci, è 'campagna' o è 'industria applicata alla terra?; oppure, le riserve amazzoniche, in quanto 'riserve' ritagliate dalle politiche governative, sono ancora realmente 'wilderness'?) si stia ribellando alla dominazione umana, dimostrandone la sua inettitudine. L'Uragano Katrina che nel 2005 devastò la città di New Orleans, è lì a testimoniare. Ci sembra quindi necessario riflettere sulla storia recente di questo popolo e sugli aspetti che influenzano la realtà internazionale odierna, per capire i meccanismi di questa società tanto odiata e altrettanto amata. Probabilmente, la nostra concezione di "America", anzi di "Stati Uniti", è dovuta all'immagine che ci offrono i mass media e ai discorsi che il presidente americano è solito fare alla sua nazione nei periodi di massima preoccupazione pubblica. |
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L'AMERICA DOPO L'11 SETTEMBRE SECONDO GENTILE | ||
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DOV'ERA DIO QUELLA MATTINA? | ||
Un'altra questione però nacque spontanea... Dov'era Dio quella mattina? Il popolo americano non riusciva a darsi una spiegazione al riguardo, mentre i terroristi dichiaravano legittimi gli attentati proprio perché compiuti in nome di Dio. Al problema politico e sociale, si aggiunse un problema religioso individuale che incrementò in molti americani la paura e l'insicurezza, emozioni che -finita la Guerra Fredda- sembravano essere scomparse dalla psiche collettiva degli statunitensi. Si arrivò a dubitare dell'onnipotenza divina, della Sua bontà, ed un popolo rinomato per la sua religiosità (si ricordi che l'80% si dichiarava cristiano prima degli attentati), non trovò un barlume di speranza, si sentì abbandonato da Dio. Furono le autorità della chiesa e lo stesso presidente, ritenuto un pontifex imperator, coloro che tentarono di restituire fiducia alle genti americane, esprimendo apertamente la presunzione di parlare "per Dio" , e rifiutandosi altrettanto apertamente di predicare il ritorno ad una maggiore umiltà nazionale, come afferma Gentile. Nemmeno nel peggior momento di sconforto l'orgoglio americano venne meno, anzi lo stesso presidente il 20 settembre ,subito dopo il disastro, in un discorso alla nazione (come riporta il nostro autore) affermò il suo intento di rivendicare la superiorità della 'pace americana' dal momento che "Dio non è neutrale" . In una nazione in cui non esiste una religione comune e che invece appare come un mondo pulviscolare formato da etnie e tradizioni religiose diverse, Bush tentò immediatamente di dimostrare la sua solidarietà nei confronti del mondo islamico che, affermò, non è identificabile con il gruppo di terroristi islamici accusati invece di abusare della religione per questioni politiche. Non fu l'unico tentativo di sembrare un buon capo politico e religioso agli occhi della nazione. Quando molti intellettuali e teologi invitarono a riflettere sul perché dell'odio nutrito verso gli Stati Uniti da parte del mondo islamico, egli definì costoro dei traditori della nazione che sottovalutavano "l'innata bontà" degli U.S.A. e credevano scioccamente di poter attribuire alla politica economica e culturale dell'America una qualche parte di responsabilità (sia pure indiretta) nello scatenamento degli attacchi . L'America è sacra e nulla la può distogliere dal progetto divino che le è stato conferito, né tanto meno qualcuno la deve accusare dell'odio antiamericano. Questo in sostanza era il pensiero del presidente. La guerra contro il terrorismo islamico venne interpretata, sempre secondo il pensiero manicheo e altrettanto fondamentalista del presidente, come un momento della guerra contro l'"asse del male" (Corea del Nord, Iran, Iraq) e divenne motivo di riunificazione morale della società, la quale, in seguito alla guerra in Vietnam e con la diffusione di una mentalità individualista, utilitarista e consumista, si era disgregata per il prevalere dell'etica del successo personale, divenendo "egoista e spietata" - come la definì Robert N. Bellah nel suo libro "The Broken Covenant" (il patto infranto), citato anche da Gentile. Lo Stato americano colse quindi l'occasione -almeno così parve- per ritornare alla comunità unitaria delle origini, che era andata disgregandosi con l'avvento della modernità (è appena il caso di ricordare quanto tutti sappiamo: e cioè che la modernizzazione economica e culturale è quel fenomeno storico che porta con sé quelle derive individualistiche meglio conosciute -dopo le varie lezioni di Hegel, Arendt, Bracher, Bauman etc.- con il nome di "ATOMIZZAZIONE SOCIALE", ingrediente essenziale per il sorgere di un regime totalitario). Si stava assistendo forse ad un ritorno alla moralità, dimostrato anche dalle accuse di natura sessuale rivolte all'ex presidente Bill Clinton in riferimento allo scandalo alla Casa Bianca durante il suo mandato? Davvero, il caso Clinton assurgeva, ancor di più nei mesi immediatamente successivi agli attacchi terroristici, a simbolo di un'America "alla deriva", una deriva morale che colpisce giovani e adulti e li induce a riunirsi trovando una via d'uscita comune, quale ad esempio il ritorno 'feroce' alla religione. In particolare a quella fede che identifica i credenti come born again, cioè i cristiani rinati, tra i quali figura lo stesso presidente Bush che si convertì ad essa dopo una gioventù passata tra alcool e divertimenti. La religione quindi come elemento pubblico e unificatore; non più come dimensione innanzitutto intima, individuale, come in fondo era stato fino a quella tragica mattina americana. Mai come dopo l'11 settembre, la destra fondamentalista cristiana ha avuto così gran peso nella politica statunitense. |
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RISVOLTI DELLA COESIONE FRA RELIGIONE E POLITICA | ||
Ma fino a che punto la religione unificatrice si è dimostrata davvero una religione in senso spirituale? Forse in un senso molto limitato, dal momento che a distanza di un anno erano aumentate le dosi di tranquillanti prescritte dai medici ma erano diminuite enormemente le presenze nelle chiese, e i fedeli speranzosi nella riuscita della "lotta contro il male" erano sempre meno e -ancora- i sondaggi certificavano il crescente dissenso popolare nei confronti della aggressiva politica del governo. Di fatto, la politica dell'attuale presidente fu ampiamente criticata e ritenuta vicina alle ideologie totalitarie che l'America stessa aveva cercato di vincere nel Novecento in Europa. E cioè, in concreto, vicina a idee quali quella di "missione voluta da Dio", una idea che -ahimè- si ritrova anche in partiti come quello nazista che si radicavano nella società anche tramite la strumentalizzazione della religione all'unico scopo di ottenere l'appoggio delle masse. Lo sappiamo anche noi: anche i nazisti hanno vantato un loro 'cristianesimo ariano'! Di fatto, si può e si deve dire ancora che la Old Glory, la bandiera americana, era ormai collocata ovunque, dagli uffici pubblici ai luoghi di culto, ai campi di rugby e baseball. Ma non pochi tra gli ecclesiastici delle tante chiese cristiane d'America non accettavano una simile strumentalizzazione del culto religioso, subordinato ad una politica di guerra e distruzione. David Domke, un sociologo della comunicazione, configurò il governo di Bush con un "fondamentalismo politico" che aveva sfruttato la situazione dell'11 settembre per attirare a sé le masse. Benché sia esagerato pensare in termini di "totalitarismo" all'America di oggi (è lo stesso Gentile a riconoscerlo), è interessante analizzare quanto sembri vicino alla definizione del fenomeno totalitario il progetto politico che l'attuale amministrazione potrebbe tentare di realizzare. Se Bush porterà avanti il suo disegno basandolo su una religione civile che si trasforma di giorno in giorno in una religione politica legittimata a definire il concetto di bene e di male e gestita da un unico partito (quello repubblicano), potrà forse riuscire a costituire un regime autoritario. Ma probabilmente non riuscirà -posto che questa sia la sua reale intenzione- a costruire un sistema totalitario dal momento che, per definizione, per verificarsi realmente, tale fenomeno non necessita solo di un capo che comanda un partito unico ma ha bisogno soprattutto della mobilitazione, seppur manipolata, della società. Ed è proprio questo elemento che, negli anni dopo la caduta del World Trade Center, sembra essere venuto meno di giorno in giorno. Le elezioni del 2004, anche se hanno riconsegnato il mandato presidenziale al pontifex imperator Bush, hanno sottolineato anche la sfiducia del 50% degli abitanti nei confronti della sua politica. Ora, dopo l'uccisione di innumerevoli civili iracheni, l'impiccagione in direttissima di Saddam Hussein e la perdita di un numero smisurato di marines americani e soldati anche europei le cui morti sono passate sotto silenzio, l'unica cosa che ci permetterà di capire che posizione ha preso il popolo americano nei confronti di questo periodo ininterrotto di guerre che disegnano la nostra e la loro quotidianità saranno le elezioni del 2008. |
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RIFLESSIONI CONCLUSIVE | ||
Intanto nell'attesa, cerchiamo di interessarci un po' di più al mondo, il che significa soprattutto - per noi- uscire da quel nostro gretto individualismo che tanto più ci protegge dalle critiche e dalle delusioni quanto più ci rende fragili ed insicuri, desiderosi solo del potere o della solitudine. Che molti di noi si ritrovino già oggi in quella che per Todorov era la condizione dei "solitari infelici" non pare dubbio; che si debba cercare una via d'uscita alla nostra solitudine in nuove forme di "rozzo totalitarismo" come quelle fondamentaliste (Bracher), siano esse cristiane 'rinate', siano esse islamiste, pare decisamente discutibile. Che ci si lasci pregare Dio alla maniera di Tommaso Moro: nella pluralità dei culti. Che Dio viva nell'intimo delle nostre coscienze, se crediamo; o che i credenti ci lascino in pace, se non crediamo. |
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